A sua insaputa non lo era affatto. Tony Rizzotto, fino a due settimane fa deputato regionale, sapeva eccome che una parte dei fondi che la Regione aveva elargito all’ente di formazione da lui presieduto e destinati ai disabili, in realtà erano stati usati per altro. Ne è convinta la Procura di Palermo che, dopo le indagini della Guardia di finanza, ha chiesto e ottenuto un sequestro di mezzo milione di euro. Di cui 32mila sono stati congelati a Rizzotto e 457mila a un suo collaboratore, Alessandro Giammona. «Non sapevo, agiva a mia insaputa», si è sempre difeso il politico. Tesi che però viene smontata nel decreto di sequestro. Dove invece si sottolinea come l’azione dei due fosse concordata. «Non vi è dubbio – scrive il giudice – che Giammona sia un uomo di Rizzotto, un suo collaboratore, al quale è legato oltre che da rapporti di parentela (è il marito di una cugina ndr) anche da una profonda fiducia, dimostrata dall’attribuzione del completo accesso ai conti correnti dell’associazione tramite il servizio di home banking».
L’ente di formazione presieduto da Rizzotto si chiama Is.for.d.d. (Istituto formativo per disabili e disadattati sociali) e tra il 2012 e il 2016 ha ricevuto dalla Regione 1 milione e mezzo di euro attraverso due canali di finanziamento, l’Avviso 20 (destinato a percorsi formativi per il rafforzamento dell’occupabilità e dell’adattabilità della forza lavoro siciliana) e il P.r.o.f. (Piano Regionale Offerta Formativa). Alle Regionali del 2017 Rizzotto – lasciato alle spalle un passato tra Forza Italia e Mpa – si candida nella lista di Noi con Salvini e viene eletto all’Ars. La sua militanza leghista, però, dura poco. E a luglio si iscrive nel nuovo gruppo di Ora Sicilia, fondato dal giovane deputato Luigi Genovese, sempre a sostegno del governo Musumeci. Ma ancora prima dell’intervento della magistratura, il suo ruolo di presidente dell’Is.for.d.d. gli gioca un brutto scherzo: dieci giorni fa, infatti, la Corte d’Appello di Palermo certifica che Rizzotto non si è dimesso in tempo dall’ente di formazione e che quindi non era eleggibile. Risultato? Decaduto. Al suo posto subentra Mario Caputo (che sceglie Forza Italia).
Per Rizzotto, però, i guai non finiscono qui. Anzi. L’indagine della Procura di Palermo, che ieri ha portato al sequestro e alla contestazione dell’accusa di peculato, inizia nel febbraio del 2017, quando cinque dipendenti dell’Is.for.d.d. denunciano alla magistratura alcune anomalie nella gestione dei fondi pubblici erogati all’ente. Una di loro, in realtà, già nel 2013 aveva segnalato a Rizzotto delle irregolarità sulle uscite dei due conti correnti aperti nella filiale palermitana di Banca Nuova. Ma il politico non solo non ascolta, anzi demansiona la dipendente.
Dagli accertamenti svolti dalla Finanza risulta che Rizzotto ha ricevuto 45mila 885 euro attraverso bonifici bancari tra dicembre 2012 e agosto 2016, e altri 11.500 euro successivamente. L’ex deputato prova a dare delle giustificazioni davanti ai pm, ma di quanto sostenuto dal politico gli inquirenti ritengono verosimile solo che una parte possa essere stata usata per le spese di affitto dell’immobile dove ha sede l’Is.for.d.d., di proprietà dello stesso Rizzotto. Ma per un massimo di 20mila euro. Gli altri 32mila? «È probabile che parte di questi fondi siano serviti a pagare in nero la donna delle pulizie», mette a verbale l’ex deputato regionale interrogato. E un’altra parte sarebbe stata usata, sempre secondo Rizzotto, per pagare le spese condominiali. Motivazioni a cui gli inquirenti non credono.
Di più, il giudice sottolinea come tra Rizzotto e il suo collaboratore Giammona, mai contrattualizzato dall’ente di formazione ma inquadrato come responsabile delle relazioni esterne, ci sia un forte legame. «Rizzotto – si legge nel decreto di sequestro – ha voluto Giammona nell’associazione, pur mantenendo indefinita la sua posizione, adottando l’ingiustificabile scelta di non formalizzarla contrattualmente; ha affidato a Giammona in maniera inspiegabile un compito che non rientrava nelle mansioni per le quali era stato scelto, affidandogli un ruolo che, vista la sua delicatezza, doveva essere svolto da un soggetto puntualmente inserito nella compagine associativa, quindi controllabile dagli organi di vertici ai quali avrebbe dovuto rendere conto». E infine, «seppur informato da una sua dipendente già nel 2013 delle anomalie sull’impiego dei fondi da parte di Giammona, inspiegabilmente non ha agito».
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