Fondi europei 2014-2020: minuscoli e già in ritardo prima di cominciare

di Gabriele Bonafede

Dopo lo spettacolare disastro nell’attuazione dei programmi europei 2007-2013 in Sicilia e altrove, il nuovo  Presidente del Consiglio Matteo Renzi punta proprio su questi fondi quali pilastri della politica di sviluppo per il Mezzogiorno. Anzi, quale unico programma di governo per la politica di sviluppo in quella parte del Paese che più necessita di sviluppo, almeno a giudicare dalle sue dichiarazioni in Parlamento sulla fiducia  ottenuta dal nuovo governo.

La cosa lascia molto perplessi. E non solo per la palese incapacità dimostrata tanto dall’Italia quanto dalla Sicilia nell’amministrare e spendere produttivamente questi benedetti fondi europei che tutti considerano come la panacea a tutti i mali, ma anche per le dimensioni che evidentemente non sono conosciute, per lo meno a Roma.

I tanto sbandierati fondi europei che rappresenterebbero la grande opportunità per creare sviluppo, in realtà consistono in proporzioni minime di spesa pubblica, soprattutto rispetto al PIL regionale e al bilancio regionale, per non parlare di quello statale. Né possono considerarsi tutti investimenti: spesso, purtroppo, vanno considerati come consumi delle pubbliche amministrazioni, e a volte consumi negativi e inefficienti per l’economia, perché fortemente burocratizzati e iperbolici.

Al momento sono stati spesi in Sicilia per il FESR (dati pubblicati dalla Regione), quasi  1,8 miliardi per il programma 2007-2013, anch’esso iniziato in ritardo e ancora in corso di attuazione fino al prossimo anno, sui 6,5 miliardi programmati. Si andrà certamente a “disimpegno”: grandi percentuali di queste somme saranno restituite a Bruxelles.

In concreto, si tratta dunque di soli 1,8 miliardi in sette anni, con una media di 255 milioni l’anno. C’è anche il FSE, che prevedeva una spesa di quasi 2,1 miliardi, ma dei quali ne erano stati spesi solo 78 milioni a metà del 2011, come si evince da un’audizione del Senato. Link: http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm07/documenti_acquisiti/Relazione%20PO%20Sicilia%20FSE%202007-2013%20e%20elenco%20allegati.pdf

Questi stessi 78 milioni erano ascrivibili al piano precedente, per cui fino a metà del 2011 non era stato speso nulla o quasi del piano FSE Sicilia 2007-2013. Dunque, anche ipotizzando una spesa di altri 50-80 milioni l’anno del FSE Sicilia (cosa improbabile), ci troviamo su circa 300 milioni di euro in spesa annua dei fondi europei in Sicilia: questo è, che piaccia o no.

E difficilmente si potrà fare meglio, a meno che non ci sia una rivoluzione amministrativa vera e non solo annunciata, della quale non se ne vede traccia. Anzi, la riforma delle provincie non può che peggiorare le cose. La continuazione nella politica del rigore, del quale Padoan è uno dei più appassionati teorici, e quella del “fiscal compact” le può ulteriormente e drammaticamente peggiorare.

Considerando che, secondo alcune stime, il PIL siciliano, nonostante le grandi contrazioni degli ultimi anni, è di circa 85 miliardi di Euro, i 300 milioni annui dei fondi europei evocati da Renzi rappresentano appena l’1,3% del bilancio regionale e lo 0,35 % dell’economia siciliana, e meno dello 0,02% del PIL italiano.

Dire di voler creare sviluppo con questi volumi di spesa pubblica addizionale è come dire di voler riempire il mar Tirreno prendendo l’acqua dal lago di Piana degli Albanesi con un cucchiaino, posto che si tratti di impieghi realmente produttivi.

E anche se nel 2014-2020 si spendesse il triplo risetto all’ultimo settennio, il che sarebbe un miracolo più che un successo, la cifra spesa sarebbe intorno all’1,5% del PIL siciliano attuale, e lo 0,06 % di quello nazionale.

Tutto questo non è regalato, anzi. Amministrare i fondi europei ha un alto costo in termini di burocrazia, sia per le amministrazioni pubbliche ai vari livelli (europeo, nazionale, regionale, comunale), sia per chi attua realmente i progetti. La burocrazia e i co-finanziamenti rappresentano un costo che va defalcato dalle somme spese: è un costo a tutti gli effetti, non un beneficio. se prendiamo in considerazione questo fatto, insieme alla dubbia utilità che a volte si manifesta, l’impatto reale di questi fondi diventa minuscolo.

E questo non è tutto. Ciò che sconforta è che il Programma 2014-2020, sul quale punta Renzi, è già in ritardo prima ancora di cominciare: non esiste ancora alcun programma ma solo un’iniziale fase di partenariato Italia-Regioni. Il ritardo, in questo caso, non è da addebitare solo alla Sicilia o alle regioni, ma al governo centrale e anche all’UE stessa: solo nella scorsa estate l’UE ha diramato le linee guida per il partenariato, con un ritardo evidente per complessi programmi che si devono attuare, almeno a parole, dal primo Gennaio del 2014. Del 2014 sono già passati due mesi su dodici e siamo ancora a “caro amico”. O per dirla in palermitano, siamo ancora a: “s’avissi u focu, nu pignateddu e u sali, mi facissi na bedda pasticiedda, s’avissi a pasta”.

Insomma, per rilanciare economicamente la Sicilia e il Mezzogiorno orribilmente piagati dalla crisi più profonda e devastante dal 1946 a oggi,  ci vuole ben altro che puntare sui famosi, mai capiti ed “eterei” fondi europei.

A Roma e a Palermo lo sanno? E chi lo sa.

Gabriele Bonafede

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