Fermato equipaggio di presunti scafisti In 16 su un gommone con 120 migranti

«Davanti abbiamo dei mesi difficili». Parole ripetute come un ritornello dagli investigatori etnei, che rapidamente diventano il motivo conduttore della conferenza stampa sul fermo di 16 presunti scafisti. Un vero e proprio equipaggio che per la prima volta è stato individuato a bordo di un unico natante: un gommone grigioforse di fabbricazione cinese e sicuramente di scarsa qualità, intercettato a largo delle coste libiche. Insieme ai trafficanti c’erano più di 120 migranti, tutti sprovvisti di salvagente. I fermati sono approdati lo scorso 28 maggio a Catania a bordo del rimorchiatore Vos Thalassa, insieme ad altre 868 persone. «Un gruppo che appartiene a cinque differenti operazioni di salvataggio in mare, ma solo di uno di questi è stato possibile individuare gli scafisti» spiega il colonnello della Guardia di finanza Roberto Manna.

A condurre l’imbarcazione dalle spiagge africane sarebbe stato
Mohammad Diallo, gambiano di 26 anni che avrebbe avuto ai suoi ordini una truppa di uomini prevalentemente originari del Marocco. «Tutti gli arrestati erano muniti di salvagente, a differenza dei migranti che occupavano il gommone», spiega il dirigente della Squadra mobile Antonio Salvago. Ognuno degli scafisti avrebbe avuto dei compiti specifici: dalla gestione della bussola a quella della taniche di carburante, fino agli ipotizzati contatti con i trafficanti libici. L’ipotesi, finita al vaglio degli inquirenti, è che il gruppo avesse anche dei collegamenti in Sicilia per la seconda fase del viaggio. Un tratto distintivo che non sarebbe una novità. Già in passato, con l’operazione della procura di Palermo denominata Glauco II, vennero individuati in città numerosi componenti della rete di trafficanti internazionali. A guidarli sarebbe stato l’etiope Asghedom Ghermay, fratello di Ermias Ghermay, latitante a Tripoli, ritenuto dagli inquirenti italiani il vertice assoluto dell’organizzazione.

Decisive per la ricostruzione della traversata sono state le
testimonianze di alcuni migranti. Dopo la partenza dall’area sub-sahariana il gruppo è arrivato in Libia per poi essere stipato in in un connection house site. Una sorta di postazione di ritrovo nelle località costiere di Zuara e Sabratah. Nelle due città l’attesa per la partenza sarebbe durata circa 40 giorni sotto l’attento controllo dei trafficanti, che non si sarebbero risparmiati all’uso della violenza. Dopo il pagamento per la traversata, con somme variabili tra 800 e 1500 dinari libici (circa 500-1000 euro, ndr), sono stati fatti salire a bordo per iniziare il viaggio verso l’Europa. 

Una volta arrivati al porto di 
Catania, i migranti sono stati trasferiti in svariati centri del nord Italia e solo una minima parte sarebbe invece arrivata al Centro per richiedenti asilo di Mineo. La struttura, nelle ultime settimane, verrebbe utilizzata anche per le procedure hotspot. Acronimo utilizzato per le operazioni di pre-identificazione e raccolta delle impronte digitali dei migranti in arrivo che secondo la normativa andrebbero effettuate in apposite aree.

Dario De Luca

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