Femminicidio-suicidio, nel Catanese tre casi in cinque mesi L’esperta: «La disperazione può coesistere con la violenza»

Tony Sciuto, 38 anni, ha ucciso la sua ex compagna 26enne Vanessa Zappalà con sette colpi di pistola sul lungomare di Acitrezza una sera d’agosto davanti a tutti. Poi si è ammazzato impiccandosi a una cisterna in una zona di campagna tra San Giovanni La Punta e Trecastagni. Due settimane dopo a Bronte, il 47enne Filippo Asero ha sgozzato la moglie Ada Rotini (di 46 anni) da cui si stava separando e ha tentato di uccidersi conficcandosi nel petto lo stesso coltello usato per il delitto. Venerdì scorso, il 30enne Sebastiano Spampinato ha ucciso Jenny Cantarero sparandole davanti al panificio nella frazione Lineri di Misterbianco in cui lei aveva appena finito il turno di lavoro. Dopo quattro giorni da ricercato, è stato trovato morto in un casolare abbandonato nella zona di Campo di Mare. Spampinato si è tolto la vita probabilmente usando quella stessa pistola. Due casi (e mezzo) di femminicidio-suicidio in quattro mesi nel Catanese che hanno anche diversi punti in comune: la dimensione pubblica del delitto, una relazione non strutturata tra la vittima e l’assassino che in entrambi i casi aveva una famiglia e dei figli non con la vittima.

«È impossibile conoscere le intenzioni di questi uomini – spiega a MeridioNews Isabella Metzagora, ordinaria di Criminologia all’Istituto di medicina legale dell’Università degli studi di Milano – A meno che non lascino un biglietto, non sapremo mai se sono usciti di casa avendo in mente il disegno criminale completo o se qualcosa sia intervenuto tra l’uno e l’altro evento. In ogni caso io credo che alla base ci sia la disperazione che può coesistere con la cattiveria». Quel che è certo è che il 58 per cento delle donne uccise in Italia nel 2021 (63 su 109 secondo i dati del Viminale, che si fermano al 21 novembre) ha perso la vita per mano di un partner o di un ex. «Ci sono dinamiche del tipo “ti devo uccidere e vengo con te” – spiega la docente – che riguarda soprattutto il caso di coppie di anziani in cui uno dei due, più spesso la donna, è gravemente malata. E poi ci sono i casi di “mi voglio uccidere e vieni con me“. Nessuno dei due, però – aggiunge – riguarderebbe questi ultimi episodi in cui la non accettazione di un rifiuto potrebbe essere alla base del femminicidio ma non del suicidio che, invece, potrebbe essere sotteso al fatto di rendersi conto che non hanno possibilità di non essere individuati e presi». Anche per avere agito sulla pubblica via dove oramai è difficile non ci siano telecamere di videosorveglianza a riprendere una parte della scena. 

Dopo avere ammazzato la donna in pubblico, sia Sciuto che Spampinato si sono allontanati in fretta dal luogo del delitto, si sono diretti verso posti non affollati e si sono tolti la vita. Un gesto estremo «in cui io vedo anche della disperazione mista alla violenza e, anche nei casi in cui non si ha a che fare con situazioni patologiche, non c’è nulla di razionale», spiega Metzagora che è anche la fondatrice del primo centro di trattamento criminologico dei partner maltrattanti nato a Milano nel 2009. «Non si può fare un identikit, sono uomini diversi tra loro: pochi sono quelli malati davvero e – chiarisce – soffrono di patologie dell’attaccamento, cioè sono dipendenti affettivi che non sopportano l’idea di rimanere da soli; più diffusi sono invece i casi che potremmo riferire a una sorta di patologia culturale, ovvero uomini che vedono le donne da sottomettere e che devono ubbidire». Mariti, compagni, fidanzati violenti che non riconoscono di esserlo «e che, anzi – aggiunge la docente – quando escono dal carcere arrivano da noi con l’idea di avere subito una ingiustizia. Il nostro compito è responsabilizzarli, portarli alla consapevolezza ed evitare che si comportino allo stesso modo. Una delle parole d’ordine, infatti, è proprio prevenzione».  

In Sicilia, al momento, l’unico centro di ascolto, sostegno e cura per gli uomini maltrattanti si trova a Bagheria, in provincia di Palermo. «Adesso è stato già firmato il decreto per aprire il centro anche a Catania», annuncia a MeridioNews la sociologa Anna Amoroso che coordina quello palermitano che in sei anni ha accolto un centinaio di utenti, alcuni volontari e altri mandati dal tribunale di sorveglianza. «L’obiettivo è lavorare sugli uomini in maniera preventiva – spiega – per fare in modo che tutto questo non accada e intraprendere dei percorsi psicoterapeutici che li portino innanzitutto ad accettare la definizione di maltrattanti e a comprendere che le relazioni affettive non possono essere basate sulla violenza». Una realtà che a Catania dovrebbe essere attiva già a partire da gennaio. «Il ministero ha già dato l’ok e dalla Regione ce lo hanno comunicato. Stiamo lavorando all’organizzazione delle attività e stiamo cercando una sede adatta in città. Il centro – conclude Amoroso – all’inizio sarà aperto una volta alla settimana». 

Marta Silvestre

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