Favara, la capitale siciliana dell’agnello pasquale «Tradizione famosa all’estero, l’unico col pistacchio»

L’inconfondibile sapore della pasta reale unita alla fragranza delle mandorle conquistano al primo assaggio. Non c’è palato che possa resistergli. L’agnello di marzapane è senza dubbio uno dei dolci più apprezzati della tradizione gastronomica pasquale siciliana. Ma è Favara, nell’Agrigentino, a undici chilometri dalla Valle dei Templi, a fregiarsi del titolo di città dell’Agnello Pasquale. Qui si conserva e tramanda un’antica ricetta. «Noi favaresi ci cresciamo con l’agnello pasquale», racconta a Meridionews Eleonora Cavaleri, 34enne che ha fatto della passione per la pasta reale la sua professione.

La sua pasticceria artigianale Cosi Dunci è il paradiso dei golosi. L’aroma intenso di mandorle e pistacchi unito invade i sensi di passanti e turisti che varcano la soglia di questo angolo di dolcezza in pieno centro storico, nel cuore della Farm e a pochi passi dal museo della mandorla. All’interno si viene subito rapiti dai colori e dalle forme delle paste esposte in vetrina. Gli agnelli pasquali diventano piccole opere d’arte decorate a mano che seguono l’estro creativo della pasticcera. «La particolarità della pecorella di pasta reale di Favara – spiega – sta nella sua farcitura di pistacchio che manca in quelle preparate nel resto dell’isola». Altra differenza rispetto alle altre varianti si riscontra nell’impasto «più equilibrato e meno zuccherato».

L’origine dell’agnello pasquale favarese risale alla fine dell’Ottocento. «Secondo la tradizione – continua Cavaleri – furono le monache del Collegio di Maria di Favara che idearono il dolce, mantenendo segreta la preparazione tra le mura del convento». Col tempo, tuttavia, l’antica ricetta cominciò a circolare tra le ricche famiglie locali e a riscontrare successo. «Si dice che al suo gusto unico non riuscì a resistere neanche papa Giovanni XXIII, che ebbe l’occasione di assaggiarlo durante una visita a Favara». Una consolidata produzione dolciaria che nel 1997 ha portato alla nascita della sagra dell’agnello pasquale che si svolge annualmente durante la settimana santa. «Per la preparazione occorrono semplicemente tre ingredienti: la mandorla, il pistacchio e lo zucchero». La 34enne lo racconta senza distogliere l’attenzione dai fornelli. Intorno c’è lo stesso profumo di quando, un tempo, si preparava l’agnello in casa Cavaleri. «Quando da bambina osservavo con interesse e curiosità mia madre – ricorda -. Gli ingredienti già pesati venivano disposti in fila sul tavolo. La mandorla pelata, asciugata e tritata veniva cotta in una miscela di acqua e zucchero. Anche i pistacchi subivano lo stesso trattamento. Era un procedimento delicato e preciso. L’interno verde della pasta di pistacchio circondato dal biancore di quella di mandorle e le decorazioni erano un piacere per gli occhi, prima ancora che per la gola».

«I miei genitori – prosegue Cavaleri – non erano del mestiere. Eppure, mio padre era convinto che la tradizione familiare di fare gli agnelli pasquali in casa potesse diventare un lavoro. Fu per questa ragione che decise di piantare un mandorleto». Da principio, la giovane non manifesta nessun entusiasmo per l’idea paterna fino a quando non riscopre l’antica passione. Da lì la decisione di frequentare un corso di specializzazione nell’arte dolciaria e nel giro di pochi anni realizza il sogno del padre, nel frattempo venuto a mancare a causa di una malattia. «Cosi Dunci è un atto d’amore verso di lui», confida. Nella pasticceria vengono usate le materie prime locali, tra le quali «il pistacchio della Valle del Platani e la mandorle di casa Cavaleri».

Oggi Cavaleri produce l’agnello pasquale tutto l’anno. Una novità che l’ha resa famosa non solo in Italia ma anche all’estero, con numerose richieste da Francia e Germania. «I turisti che nei mesi estivi venivano qui in visita – confessa mentre decora e personalizza con ghiaccia reale, e non con glassa come vuole la tradizione, le pecorelle già pronte – mi chiedevano del famoso agnello pasquale di Favara. Ne sentivano parlare, ma poi non lo vedevano. Allora ho pensato di preparalo tutto l’anno, anche nelle forme di souvenir come anfore, trinacrie, coffe, per dare a tutti l’opportunità di consumarlo sempre».

Concetta Purrazza

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