“Questa fase non è stata ultimata”. Così l’avvocato Guido Ziccone, legale rappresentante dell’Università di Catania – presente come parte offesa nell’inchiesta sul “caso Farmacia” – sintetizza l’esito dell’incidente probatorio previsto per venerdì 19 dicembre e rimandato a gennaio del prossimo anno. Dietro questa sintesi c’è però una realtà abbastanza complessa, che potrebbe far almeno in parte ridiscutere l’impostazione dell’indagine.
Accertare lo stato dei luoghi riguardo all’ipotesi d’inquinamento dell’edificio 2 della Cittadella: è questo ciò che avrebbero dovuto fare le parti – da un lato gli indagati, dall’altro l’Università di Catania – nominando i loro consulenti tecnici. “L’atto serve a controllare il risultato delle precedenti analisi disposte dai Pm (Lucio Setola e Carla Santocono, ndr), e a chiedere se queste sostanze c’erano, ci sono ancora, oppure no”, spiega Ziccone.
Ma venerdì non ce n’è stato il tempo, a quanto pare. All’udienza erano presenti anche i legali di quelle che potrebbero divenire parti civili nel processo: persone che hanno lavorato a lungo nell’edificio 2 e si sono ammalate, o parenti di persone che sono morte. Tutti collegano i decessi e le malattie con il presunto inquinamento dello stabile. Alla loro richiesta di essere considerati parte offesa anche in questo procedimento – anche se per l’ipotesi di reato di omicidio e lesioni colpose esiste già un’altra indagine – “si sono opposti parte dei legali degli indagati” racconta Santi Terranova, uno dei legali delle famiglie. Su queste due ipotesi contrapposte, la cui discussione avrebbe portato via molto tempo, il giudice Fallone si è riservato di decidere in un’altra udienza. “Attendo quindi di sapere”, conclude l’avvocato. L’udienza sarà il prossimo 8 gennaio.
Nel frattempo, i difensori di alcuni indagati hanno posto un problema riguardo alla presenza dell’Università come parte offesa all’interno del procedimento. “La questione è nuova”, ammette l’avvocato Ziccone, “perché i pm e il giudice, nel disporre l’incidente probatorio, hanno ritenuto di indicare la parte offesa, e questa è stata l’Università”. La tesi presentata da questi legali – non tutti, per espresso volere degli assistiti – si fonda su un’osservazione tecnica: secondo la legge, trattandosi di un’ipotesi di inquinamento ambientale, ci sarebbe una sola parte offesa, cioè il Ministero dell’ambiente, e non l’Università. Semmai, l’Ateneo potrebbe costituirsi parte civile all’inizio del processo per poi chiedere i danni. Si tratta tecnicamente di due cose diverse. La parte offesa, infatti, viene dichiarata anticipatamente e si tratta del “titolare del bene”, mentre la parte civile subentra in un secondo momento, e deve dimostrare di aver subito dei danni.
Ma qualcuno dei legali degli indagati è andato oltre ed ha rilevato l’ambiguità della posizione dell’Ateneo come parte offesa, qualora in futuro diventasse responsabile civile degli illeciti eventualmente accertati. Insomma, ammesso – e dal punto di vista degli indagati non concesso – che morti e malattie siano collegabili all’inquinamento, l’Università dovrebbe pagare i danni. Una posizione chiaramente incompatibile con quella di parte offesa. Sulla richiesta, il Gip Fallone si è riservato di decidere in seguito. Il legale dell’Università ribadisce la “questione di principio” dell’essere parte offesa, perché “comunque, chi riceve i danni è l’Università, nel caso ci sia stato un comportamento antigiuridico”. E aggiunge: “Non si ha l’intenzione di partire da tesi precostituite, ma solo di collaborare all’accertamento della verità. Se non c’è inquinamento o pericolo per la salute, non si vede perché non si dovrebbero riaprire i locali”, dice poi l’avvocato. Ma aggiunge: “ovviamente non abbiamo chiesto il dissequestro perché, se per caso ci fosse qualche pericolo, non sarebbe corretto”.
Non resta che attendere l’udienza del prossimo 8 gennaio, quando il gip Fallone deciderà sulle questioni aperte e porrà i quesiti ai periti. Un’altra udienza, già fissata per il 16 gennaio, servirà poi a dare l’incarico ai consulenti.
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