Dopo quasi due anni di udienze, sta per terminare il lungo percorso del processo per disastro ambientale e discarica non autorizzata all’interno dei locali dellex facoltà di Farmacia di Catania. Con la seduta di ieri – tenutasi nell’insolita cornice delle aule del carcere di Bicocca – si è chiuso il ciclo dell’esame dei periti delle difese degli otto imputati (Antonino Domina, ex direttore amministrativo dellUniversità, Lucio Mannino, dirigente dellufficio tecnico, Giuseppe Ronsisvalle, preside della facoltà, e i membri della commissione di sicurezza Fulvio La Pergola, Giovanni Puglisi, Francesco Paolo Bonina, Marcello Bellia e Franco Vittorio, quest’ultimo direttore del dipartimento di Scienze farmaceutiche e all’epoca dei fatti a capo della commissione).
Il primo a essere sentito è Giuseppe Spampinato, docente a Ingegneria a Catania per diversi anni e consulente per Bellia e La Pergola. Come i colleghi che hanno curato le consulenze delle difese, anche per l’ingegnere non si può parlare di una contaminazione sulla base dei dati forniti da Bruno Catara e dai tecnici della It group. A supportare la tesi, Spampinato e i suoi collaboratori hanno ipotizzato uno sversamento massiccio, all’eccesso, di sostanze che avrebbero dovuto seguire il percorso del nuovo impianto fognario. Secondo la simulazione, in un anno, tenendo conto della natura del terreno, non si avrebbe avuto un inquinamento. Ma, com’è costretto ad ammettere nel corso del controesame del pubblico ministero Lucio Setola, il modello non è sovrapponibile a quanto sarebbe accaduto. Ossia uno sversamento occasionale, veicolato dall’acqua, reiterato nel tempo e in una rete fognaria vetusta e ridotta a pezzi.
Anche Corrado Barone – chimico, esperto convocato dalla difesa di Vittorio – sostiene che il terreno che circonda l’edificio 2 della Cittadella non potrebbe essere definito contaminato. «Con i dati in possesso delle parti – spiega – non si tratta di discarica». Estremamente più sicuro si mostra Riccardo Maggiore, docente di Chimica per l’ambiente del dipartimento di Scienze chimiche dell’Ateneo catanese e dunque collega di molti degli imputati. Secondo l’esperto, anche a distanza di dieci anni si sarebbe avuta traccia di metalli anfoteri, su tutti l’onnipresente – almeno nelle relazioni accumulate nel processo – mercurio. Non averne rilevati nelle analisi effettuate nel corso dell’incidente probatorio indicherebbe la loro assenza nel sottosuolo. La presenza del metallo nella matrice aerea dipenderebbe invece dalla sua presenza nelle comuni vernici antimuffa. Maggiore ha anche una risposta sulla misteriosa garza incrostata di mercurio ritrovata in una delle saie: potrebbe essere stata a suo tempo una medicazione, imbevuta di qualche sostanza antisettica a base proprio di mercurio. Ma, come fa notare l’accusa, sembra difficile che la concentrazione di una pomata di uso comune possa aver creato quella che è stata descritta come una stalattite intrisa della sostanza.
Un punto sul quale i legali e l’accusa si scontrano spesso è la possibilità di stabilire se i valori riscontrati nei rilievi del terreno nel 2009 dai periti del giudice per le indagini preliminari siano paragonabili a quelli del periodo preso in esame nel processo, tra il 2004 e il 2007. La difficoltà è aggravata dal rifiuto dei vertici dell’Università di effettuare dei carotaggi all’interno dell’edificio. E allo scopo non contribuiscono le analisi effettuate da Catara e dalla It group. Questo è uno dei nodi centrali che il collegio giudicante dovrà sciogliere al momento di stabilire la verità giuridica sulla vicenda.
La prossima udienza, fissata fuori dal calendario stabilito a gennaio, sarà l’ultima prima della discussione del pubblico ministero Lucio Setola (in partenza a settembre perché passato al ruolo giudicante e trasferito a Potenza) e dei legali delle difese. Una volta chiusa anche questa fase, sarà la volta del tanto atteso giudizio. A salire sul banco saranno gli imputati che sceglieranno di sottoporsi all’esame.
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