«Crediamo nella possibilità di rilanciare una storia che è stata importante, specialmente per quella parte di Sicilia oggi dimenticata». Il proposito è tutto economico, ma per chi vive nel cuore dell’isola è inevitabile ritrovarci pezzi di vita familiare. Il racconto di uno zio, l’anedotto di un vicino di casa, piccoli patrimoni personali che confluiscono in una narrazione collettiva, magari controversa ma che di certo ha segnato un’epoca. È la vita delle e nelle miniere. Mondi sotterranei da cui, per decenni, sono arrivati in superficie ricchezza – salgemma e sali potassici – e problemi, sotto forma di sfruttamento e malattie. «Epoche lontane, le miniere di sale raccontate da Leonardo Sciascia risalgono agli anni Cinquanta. Scenari che nulla hanno a vedere con le tecnologie attuali e con l’attenzione che caratterizza gli odierni processi industriali e minerari». A parlare a MeridioNews è Enrico Curcuruto, consulente tecnico della General Mining Research Italy (Gmri), società con sede legale a Perugia, che ha scelto di puntare forte sull’estrazione mineraria in Sicilia.
L’impresa, nata nel 2017, ha da subito presentato una serie di progetti alla Regione per la ricerca di sali potassici e alcalini. Minerali importanti, che trovano applicazione nell’industria dei fertilizzanti e dei quali il sottosuolo è ricco. I territori interessati dalle richieste dei permessi di ricerca sono San Cataldo, Caltanissetta, Bompensiere, Milena e Sutera, nel Nisseno; mentre nell’Ennese, Nicosia e Sperlinga. Un altra ricerca toccherebbe Cattolica Eraclea e Ribera, nell’Agrigentino, dove si trovano due delle tre miniere di sale – la terza è a Petralia Soprana (Palermo) – ancora attive in Sicilia: quelle di Realmonte e Racalmuto, il paese originario di Sciascia. Le istanze della Gmri, nel 2019, hanno ottenuto il via libera dalla commissione tecnica-specialistica. Furono tra gli ultimi atti esitati dall’organismo presieduto al tempo dal funzionario Alberto Fonte, prima del coinvolgimento nell’inchiesta su Paolo Arata e Vito Nicastri. La commissione stabilì la non necessità di effettuare la valutazione ambientale delle attività utili a individuare l’esistenza o meno dei blocchi di sale: rilievi geologici, campionamenti di acque e rocce, sondaggi elettrici e infine perforazioni – all’incirca un paio per zona – della profondità di qualche centinaio di metri. Le richieste di permesso – quello per Sperlinga e Nicosia, denominato Villadoro, si trova nello stato più avanzato – attendono di completare l’iter autorizzativo alla Regione. «Non dovrebbero esserci problemi neanche con i proprietari dei terreni, l’occupazione del suolo sarà minima e le attività per nulla impattanti a livello ambientale», spiega Curcuruto.
A Mussomeli, altro comune del Nisseno, la Gmri attende invece di conoscere l’esito della valutazione ambientale per la concessione mineraria relativa all’estrazione di sali alcalini. Qui la presenza – «in larga parte di salgemma e in misura minoritaria di sali potassici», sottolinea il consulente della società – è stata già accertata e la General Mining ha vinto il bando per assegnare la possibilità di estrarre il sale. Serve però prima l’ok dal punto di vista ambientale. A pronunciarsi sarà l’attuale Cts guidata dal professore Aurelio Angelini, che a fine marzo ha rilasciato un primo parere in cui è stato chiesto alla società di integrare la documentazione. Tra gli atti da produrre ci sarà anche la valutazione d’incidenza ambientale (Vinca) per l’area naturale protetta di Monte Conca.
La Gmri è guidata da Alessandro Carlino, 47enne residente a Firenze ma originario di Favara. «Tornare nella propria terra d’origine per provare a fare ripartire un settore a cui i siciliani sono legati è fonte di stimoli – commenta a MeridioNews -. Dove abbiamo fatto già indagini preliminari, siamo sempre stati accolti bene, con interesse. Sono territori dove l’attività estrattiva dava lavoro a tante famiglie». Carlino è solo uno dei siciliani al centro del progetto. Nonostante infatti la sede legale ce l’abbia in Umbria, la Gmri è legata al nome di una famiglia che nell’isola ha una sua importanza: Catanzaro. General Mining è infatti controllata da Europa Partecipazioni, società le cui quote appartengono a Lorenzo Catanzaro, alla moglie e a uno dei figli. Con i fratelli Giuseppe e Fabio, Lorenzo Catanzaro, presente anche nel cda di Gmri, è socio della Catanzaro Costruzioni. Quest’ultima è l’impresa proprietaria della discarica di Siculiana. «L’idea di investire nella ricerca mineraria è nata soprattutto dai figli. Entrambi hanno studiato fuori, uno negli Stati Uniti e l’altro a Milano, ma hanno deciso di scommettere nell’isola», spiega Carlino.
La storia delle estrazioni di sali in Sicilia è legata indissolubilmente al sito di Pasquasia, la miniera che a Enna rimase attiva fino a inizio anni Novanta sotto la conduzione di Italkali. Società al tempo pubblica, con quota di maggioranza in mano all’Ente minerario siciliano, dunque alla Regione. Oltre a quello delle stragi, quest’anno ricorre anche il trentennale dello stop alle attività di Pasquasia: era il 27 luglio 1992, infatti, quando i cancelli della miniera vennero chiusi. Un fermo improvviso che per molti è ancora oggi inspiegabile. Sono tante le storie che infatti ruotano attorno a Pasquasia, a ciò che le sue gallerie sotterranee avrebbero ospitato ancor prima della chiusura, ma anche dopo, quando per sette anni il sito rimase totalmente privo di sorveglianza. C’è chi, come il collaboratore di giustizia Leonardo Messina che ne parlò al giudice Paolo Borsellino, ha fatto riferimento a uno smaltimento di scorie radioattive e chi racconta di camion sospetti che nella notte accedevano in quella che sarebbe dovuta essere ormai una ex miniera. A occuparsi di ciò sono state anche le procure di Caltanissetta ed Enna, ma che non hanno portato a risposte chiare, complice un’indagine finita con un’archiviazione a inizio anni Duemila ma i cui atti sono stati secretati.
Oggi Pasquasia è un sito abbandonato e, indipendentemente dai punti interrogativi irrisolti, simbolo del degrado ambientale per la presenza di elevatissime quantità di amianto. «Bisogna fare chiarezza su un punto: lavorare nel settore minerario, estrarre i sali, non significa automaticamente generare inquinamento o peggio dare vita a bombe ecologiche – sottolinea il presidente di Gmri -. Ciò che accadeva a Pasquasia, lo smaltimento nei corsi d’acqua delle salamoie prodotte nei processi di lavorazione, era espressione di incuria e della mancata volontà di utilizzare le migliori metodologie a disposizione. Il nostro progetto, invece, punta a creare un processo a ciclo chiuso con riduzione al minimo degli scarti e la corretta gestione di questi. Anche da un punto di vista energetico, il progetto punta a utilizzare anche fonti rinnovabili». Un altro sito simbolo di una parentesi industriale che ha lasciato una pesante impronta a livello ambientale, con i connessi rischi per la salute delle persone che vivono nei centri più vicini, è la miniera di Bosco Palo a San Cataldo. Anche qui si è pensato possano essere finiti rifiuti radioattivi. «Per Bosco Palo noi abbiamo presentato un project financing alla Regione per recuperare l’ammasso salino rimasto nel sito con le strumentazioni che abbiamo a disposizione. Per redigere il progetto abbiamo dovuto fare delle rilevazioni da cui non sono emerse emissioni radioattive, perlomeno nella parte del soprassuolo», conclude Carlino.
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