Facoltà, addio. Come sostituirle?

1. La 240 avvia un processo che – tenuto conto anche dei decreti attuattivi – sarà laborioso e, speriamo, che possa concludersi in breve tempo. Per quanto riguarda la didattica, inoltre, saranno necessari probabilmente adattamenti della 270. L’assegnazione di funzioni didattiche ai docenti, poi, dovrà essere disciplinata da regole che oggi non esistono. A livello di ogni ateneo, infine, ci sarà il problema di riassegnare gli spazi e, a lungo termine, di ripensare l’intera edilizia universitaria. Resta chiaro, comunque, l’impianto dato dalla 240 all’organizzazione della didattica.

2. Le denominate “strutture di raccordo” – che gli atenei potranno rinominare a loro preferenza – possono essere pensate come le strutture che hanno in carico quei corsi di laurea (eventualmente anche magistrale) nei quali è necessario fornire agli studenti conoscenze in discipline appartenenti a diverse aree del sapere. Tali strutture possono essere 12 ma – dove già esistono – sono poche, non molto più di 3: una per le “Scienze umane e sociali”, una per le “Scienze matematiche, fisiche e ingegneristiche”, una per le “Scienze mediche, chimiche e biologiche”. In queste strutture, i docenti hanno poche responsabilità, essenzialmente tecnico-funzionali, cioè sui curricula e i programmi di insegnamento. Alcuni docenti partecipano – insieme a chi governa e organizza l’università – alla progettazione del corso ma – quando questo diventa operativo – la responsabilità dell’organizzazione e del funzionamento è soprattutto dei dirigenti dello staff organizzativo ed amministrativo, seppure in contatto con i docenti del corso. Per questa ragione e perché queste strutture e i corsi che organizzano sono in carico al governo e all’amministrazione dell’ateneo, non è necessaria la rappresentanza negli organi di governo dell’ateneo di chi ha incarichi organizzativi in queste strutture.

3. Nei dipartimenti che hanno in carico corsi di laurea specialistici e soprattutto corsi di laurea magistrale, invece, le responsabilità dei docenti nell’organizzazione didattica aumentano perché questi corsi servono già alla formazione di “specialisti”: la loro organizzazione, quindi, richiede la partecipazione diretta di personale scientifico.

4. Nei corsi di dottorato, infine, la responsabilità anche organizzativa dei docenti è massima perché didattica e ricerca si fondono.

5. L’omogeneità dei dipartimenti, quindi, è importante e serve tanto per la ricerca quanto per la didattica perché questa è attribuita ai dipartimenti quando è “più” specialistica mentre della didattica “meno” specialistica si occupano le strutture di raccordo nelle quali i docenti hanno poca responsabilità organizzativa. In altri termini, poiché la 240 ha scelto per tutto il sistema universitario italiano il modello dell’università di ricerca e insegnamento, ricercatori, associati e ordinari sono assunti per fare ricerca e mettere la ricerca nell’insegnamento.

6. Più grande (per numero di studiosi) ed omogeneo (negli interessi, nei linguaggi e nei metodi dei suoi membri) è un dipartimento, meglio è perché così si attiva un percorso del genere: più grande ed omogeneo il dipartimento␣maggiori le sinergie intellettuali e le economie di risorse␣ migliore la produzione scientifica dei ricercatori del dipartimento␣più alta la valutazione del dipartimento e dei suoi membri da parte di agenzie di valutazione e dei peers␣più numerose le collaborazioni con altre comunità scientifiche␣maggiori le opportunità di acquisire risorse finanziarie␣migliori le dotazioni umane e strutturali␣più alta la qualità della produzione scientifica.

7. Dipartimenti grandi e omogenei quindi, ma quanto? Quanto consentono le leggi (minimo 35 o 40 unità secondo la 240) e le risorse disponibili. Se le risorse (finanziarie e organizzative) lo consentono, in un’università si creano almeno tanti dipartimenti quanti sono i raggruppamenti del sapere scientifico. Se le risorse consentono di creare un maggior numero di dipartimenti, si allarga il numero sottodividendo i raggruppamenti col vantaggio di accrescerne l’omogeneità. Se ne consentono di meno, si fanno accorpamenti rispettando la vicinanza metodologica.

8. Questo non vuol dire sottovalutare l’importanza della collaborazione inter-disciplinare per affrontare temi nuovi né vuol dire escludere a priori il criterio tematico di costituzione dei dipartimenti. Adottare questo criterio non è cosa in sé negativa ma è una scelta rischiosa perché nei dipartimenti tematici viene meno quella concentrazione di risorse scientifiche che produce i vantaggi di cui sopra. Il criterio tematico, inoltre, è rischioso soprattutto per i giovani. Dal momento che si entra e si avanza nella carriera scientifica perché si passano valutazioni – fatte da esperti in determinati linguaggi e metodi scientifici – se si dimostra padronanza di quei linguaggi e di quei metodi, si fa l’interesse dei giovani se si preferiscono dipartimenti nei quali essi sono agevolati nell’acquisizione dei metodi di una scienza.

9. Cosa si intende per raggruppamenti del sapere scientifico? Le 14 aree scientifiche utilizzate nel sistema universitario italiano sono in parte arbitrarie nell’inclusione dei SSD dentro ogni area ma lo è qualsiasi insieme di raggruppamenti scientifici creato per scopi amministrativi. Se il ministero adotterà una classificazione migliore, sarà vantaggioso. Intanto questo c’è e da questo dobbiamo partire per definire l’omogeneità metodologica dei dipartimenti. Abbiamo solo un’alternativa: possiamo dire che l’omogeneità può essere metodologica oppure indifferentemente metodologica o tematica. Se è metodologica, dobbiamo usare uno strumento congruo per selezionare chi ne fa parte (quello delle 14 aree oppure un altro migliore). Se accogliamo quella tematica, abbiamo il problema di individuare sia i temi sui quali impegnare risorse dell’ateneo sia gli strumenti “oggettivi” e condivisi per dire chi può fare parte di un dipartimento tematico.

10. Ritornando al punto della creazione dei dipartimenti secondo la 240, seppure si pone la necessità di un’ottica bifocale – ricerca e insegnamento – si devono distinguere bene le priorità. Prima di tutto, i dipartimenti devono essere luoghi nei quali gli studiosi, specialmente i giovani, abbiano opportunità di fare ricerca scientifica – anche perché è questa che li mette in grado di essere bravi docenti. Secondo, i dipartimenti organizzano corsi di studio dipartimentali o interdipartimentali oltre quelli istituiti dalle strutture di raccordo. In altre parole, la costruzione di un ambiente omogeneo di ricerca scientifica è fondamentale perché solo l’insegnamento impartito da docenti che si formano e si sviluppano in un ambiente appropriato di ricerca scientifica ha impatto sociale.

11. Costruire dipartimenti dando priorità all’offerta di corsi di studio anche di ampie dimensioni, d’altra parte, porta le risorse finanziarie aggiuntive che sono necessarie agli studiosi di un dipartimento per crescere professionalmente? Le risorse aggiuntive, sia pure di ammontare limitato, verranno in parte dal bilancio statale come premio per valutazioni positive. Corsi di studio affollati rischiano una cattiva valutazione dei dipartimenti a meno di non impiegare risorse finanziarie che sono distolte alla ricerca (pagare contratti di insegnamento invece che ricerche, ad esempio). Le risorse aggiuntive verranno da finanziamenti di ricerca – che andranno là dove c’è alta specializzazione, quindi concentrazione di ricercatori omogenei – e da masters specialistici – per i quali è necessario avere personale scientifico qualificato nel dipartimento.

* Fulvio Attinà è ordinario di “Scienza Politica” (Relazioni internazionali) e professore Jean Monnet di “Politica dell’Unione Europea” nell’Università di Catania. Il documento che riportiamo, elaborato all’interno della facoltà di Scienze Politiche nell’ambito del dibatitto sul nuovo Statuto d’Ateneo, è stato diffuso il 27/2/2011 col titolo: “Dipartimenti e strutture di raccordo”.

 

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