Fabio Venezia, al sindaco sotto scorta il premio Vassallo «Diamo ai giovani i boschi che erano in mano alla mafia»

Fabio Venezia non è un tipo da passerelle, ma martedì gli toccherà indossare l’abito da cerimonia. L’appuntamento per il sindaco di Troina è alla Camera dei deputati per ricevere un premio importante, quello dedicato ad Angelo Vassallo, primo cittadino come lui, a Pollica, il sindaco pescatore ucciso barbaramente nel settembre del 2010. Riconoscimento riservato agli amministratori italiani che, attraverso la loro attività, hanno saputo raccogliere e incarnare l’eredità politica e morale di Vassallo. Venezia ha 34 anni, gli ultimi due vissuti sotto scorta, perché si è messo in testa di trasformare i boschi e i pascoli che ricadono nel suo Comune, da terra di nessuno dove Cosa Nostra impone metodi e regole, in opportunità per i suoi coetanei. 

Sindaco, che valore ha per lei il premio Angelo Vassallo?
«È un grande e prestigioso riconoscimento di cui sono molto onorato. Nonostante il momento non certo facile, ci dà ulteriore forza nell’azione amministrativa che stiamo portando avanti con grande sacrificio».

C’è il rischio che lei venga più apprezzato fuori dalla sua terra?
«Per fortuna il lavoro che abbiamo svolto ha avuto un significativo apprezzamento anche in Sicilia, nonostante il movimento antimafia non viva certo un bel momento sotto il profilo della credibilità. A livello nazionale si riscontra invece un crescente interesse per l’esperienza di legalità che insieme al presidente Antoci stiamo portando avanti con grande impegno nell’area dei Nebrodi che ci auguriamo possa contribuire a dare un’immagine diversa della nostra isola».

Qual è il suo rapporto con i cittadini di Troina? L’eco mediatica delle sue denunce e della sua storia personale ha infastidito o percepisce vicinanza e solidarietà?
«Ho un bellissimo rapporto con i miei concittadini, i quali non mi hanno mai fatto mancare, soprattutto nei momenti difficili, la loro solidarietà. La stragrande maggioranza della popolazione sostiene con interesse e partecipazione la battaglia di legalità e più in generale l’azione amministrativa messa in campo».

Che risultati avete raggiunto nella lotta alla criminalità nella gestione dei terreni di proprietà del Comune?
«Siamo a un punto di svolta. Alla lunga e complessa fase di spossessamento dei beni demaniali di proprietà del Comune, che ha avuto momenti di grande tensione perché sono stati toccati nel cuore gli interessi economici di diverse famiglie legate alla criminalità mafiosa, sta seguendo un percorso di valorizzazione del nostro bosco che vedrà a breve come protagonisti nella gestione i giovani e le aziende agricole sane. Stiamo anche lavorando a un piano di rilancio turistico di questo straordinario patrimonio naturalistico».

Cos’è oggi la mafia a Troina e come influenza la vita dei cittadini?
«Moltissime cose sono cambiate rispetto a qualche anno fa. L’operazione Discovery ha messo a nudo la presenza, attraverso una cosca locale, del clan Santapaola a Troina, il quale attraverso i metodi tradizionali di oppressione stava penetrando pian piano nel territorio urbano. L’azione delle forze dell’ordine e della magistratura inquirente, la nascita di un’associazione antiracket e il forte impegno amministrativo messo in campo in questi anni hanno permesso di raggiungere risultati straordinari. Un calo di circa l’80 per cento di reati e di denunce, l’azzeramento del cosiddetto cavallo di ritorno e di altri episodi estorsioni fanno sì che oggi Troina non subisca più la presenza oppressiva della criminalità organizzata».

Come risponde a chi sostiene che fare la guerra alla mafia rurale è più semplice, più comodo perché considerata una mafia antica e senza grandi connivenze con poteri forti?
«Penso che sia esattamente l’opposto. Colpire le organizzazioni criminali nel cuore degli interessi economici mettendo fine a un sistema perverso che fruttava annualmente milioni e milioni di euro è stata una scelta tutt’altro che semplice. In più, la cosiddetta mafia rurale agisce in maniera diversa dalle organizzazioni criminali delle città. È una mafia arcaica ma molto sanguinaria ed efferata che agisce in maniera maldestra e a volte di impulso. Per queste ragioni è molto è imprevedibile e pericolosa. Inoltre, contrariamente a quanto si possa pensare, riesce a trovare, grazie alla propensione corruttiva, elementi di contiguità con ambienti della burocrazia e persino con alcuni poteri forti».

Non teme il rischio di diventare un’icona?
«Il movimento antimafia, come già detto, non vive negli ultimi anni un momento esaltante. Io sono contro la mitizzazione dell’antimafia. I vecchi modelli, per come li abbiamo conosciuti a partire dalla seconda metà degli anni novanta, sono in parte logorati e poco credibili. Più che alla ricerca di nuovi eroi, occorrerebbe un impegno fatto di sobrietà, serietà e intelligenza, per creare un movimento collettivo che coinvolga i giovani e riscopra la partecipazione dal basso attraverso un impegno prima che politico pedagogico».

Si sente a suo agio in questo Partito Democratico?
«La mia esperienza amministrativa e le mie vicissitudini personali mi hanno molto segnato anche sotto il profilo politico. Ho creduto e credo alla forza riformatrice del PD, ma a volte non nascondo il mio disagio per alcune scelte che vengono compiute a livello regionale e nazionale. Vorrei cercare di cambiare la politica con un impegno genuino, fatto di passione e soprattutto stando a contatto con la gente».

Cosa ha votato al referendum di domenica? E cosa pensa della situazione che si è venuta a creare?
«Domenica ho votato Sì. La sconfitta del governo Renzi e del PD, l’attuale assetto istituzionale e politico molto labile, unitamente a un sistema elettorale frastagliato creeranno non pochi problemi nei prossimi mesi. Mi auguro che si ridia al più presto la parola ai cittadini andando ad elezioni anticipate».

Crede sia realizzabile un partito/movimento dei sindaci alternativo agli attuali partiti?
«Credo un’esperienza del genere si possa realizzare nella nostra Regione, più che a livello nazionale».

Qual è secondo lei, al momento, il problema più urgente della Sicilia? E quale sarebbe il primo provvedimento se fosse lei a guidare questa Regione?
«Il problema più urgente per la Sicilia è la disoccupazione giovanile e il disagio sociale. Un problema che non si può certo risolvere in poco tempo e con misure tampone. Se fossi io a guidare la Regione, il primo provvedimento che proporrei è l’istituzione di una task force alle dirette dipendenze del presidente che monitori i fondi europei gestiti dai vari assessorati, accelerando le procedure di spesa. È impensabile che in un momento di grande crisi economica la nuova programmazione 2014-2020 parta con tre anni di ritardo e che, come è avvenuto in passato, si corra il rischio di rimandare indietro i fondi comunitari perché non spesi in tempo».

Come definisce la sua città, Troina? E come immagina Troina tra vent’anni?
«Mi piace definire Troina come una città onesta e laboriosa che nei momenti difficili della sua storia è riuscita a tirar fuori il meglio di sé. Fra vent’anni la immagino un punto di riferimento per la Sicilia interna con un nuovo modello di sviluppo fondato sulla valorizzazione dello straordinario patrimonio storico-artistico e monumentale e con i nostri boschi fruiti da migliaia di turisti e visitatori».

Come sarà il suo futuro in politica?
«Per adesso continuerò ad occuparmi della mia città completando il programma elettorale. Ho 34 anni e ho la fortuna di non essere accecato dall’ambizione politica. Molti nel mio territorio e all’interno del partito mi chiedono un impegno diretto ad un livello parlamentare per allentare anche la tensione sulla mia incolumità personale. Al momento opportuno deciderò».

Salvo Catalano

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