Fabbrica di lievito Arenella, dopo i cani la discarica Da lager a deposito abusivo di rifiuti, anche tossici

C’è una bomba ecologica pronta a esplodere vicino a uno dei litorali più belli di Palermo. Fioriscono gli oleandri all’interno della vecchia fabbrica di lievito della Chimica Arenella, il grande polo industriale in disuso dal secolo scorso che riposa abbandonato poco prima del mare tanto apprezzato dell’Addaura. I fiori rosa sbocciano nonostante le vecchie vasche proprio sotto di loro siano piene di percolato. Quel luogo che infatti fino a poco tempo fa era noto come il lager dei cani, in cui venivano rinchiusi gli animali e lasciati morire di stenti o utilizzati per riproduzione o per i combattimenti, adesso è stata riciclata per i rifiuti, anche per quelli tossici. 

Anche la vegetazione è appiccicosa nella ex fabbrica di lievito. L’erba rimane incollata alle gambe come fosse cosparsa da qualche strano collante. Anche prima certo i rifiuti non mancavano, ma adesso basta imboccare il vialetto d’ingresso per imbattersi in delle cataste composte per lo più da oggetti così curiosi da fare pensare che a scaricarli lì debba essere qualcuno specializzato, non cittadini occasionali: ci sono mobili antichi, ma anche arredi navali come pompe, salvagenti, grosse manichette, cibo da stiva inscatolato e scaduto negli anni Settanta, salvagenti e addirittura una moto d’acqua. Ci sono parti di arredo di locali e persino un’insegna e un prezziario di un pub di via Principe di Paternò, il Ghekò.

Proseguendo per la via principale, tra i ruderi del colosso industriale ormai morto e sepolto, non lontano dal capannone dove l’unica parte a non sembrare disabitata da secoli è un rettangolo disegnato con un terreno minerale, forse un ring utilizzato per i cani, ci sono le quattro piccole vasche di raccolta. Lì dentro questa sorta di catrame nero, probabilmente percolato, pare ribollire sotto al sole estivo, ma non è da solo. Anche camminando sul terreno tutt’intorno si finisce con lo sprofondare e lì riaffiora il nero molle e appiccicoso: si tratta forse di percolato più antico, ormai ricoperto dalla terra, ma non per questo meno pericoloso. E il terreno ne è pieno. Anche allontanandosi la situazione non cambia: questa volta ad avere l’aspetto nero e appiccicoso sono i resti dei tanti rifiuti dati alle fiamme, cumuli di plastica fusa e mai solidificata, ma rimasta in questo stato nero e colloso sotto alla cenere.

Gabriele Ruggieri

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