Experia, comincia il processo agli attivisti «Ma noi non lasceremo mai il quartiere»

Resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, istigazione a delinquere, travisamento (il termine giuridico per indicare la copertura del volto che rende un soggetto irriconoscibile, ndr). Quella che per una parte di Catania è ancora una ferita aperta, verrà trattata in un’aula di tribunale con queste accuse domani 30 ottobre 2013, esattamente quattro anni dopo i fatti. Si tratta dello sgombero del centro popolare Experia, nel quartiere Antico corso, ancora chiuso da quell’alba di quattro anni fa, nonostante i progetti dell’allora sovrintendente ai Beni culturali di Catania Gesualdo Campo e il bando da più di due milioni di euro scaduto questa estate. Davanti al cancello sprangato dell’ex palestra popolare del quartiere si sono visti questa mattina attivisti storici del centro e simpatizzanti. Tra di loro, anche alcuni degli imputati del processo che partirà domani: Giacomo Cacia, Daniele Zito, Emanuele Feltri, Antonio Scalia, Federico Galletta, Fabrizio e Roberto Oliveri, Claudio Alonzo. Accusati, a vario titolo, di aver resistito alle forze dell’ordine il giorno dello sgombero. Vittime invece della violenza degli stessi poliziotti secondo un’altra denuncia che, tra alterne vicende, è ancora in attesa di una conclusione.

«Dopo quattro anni, vedere ancora questo portone chiuso fa rabbia», ammette Valentina Genovese, tra i membri del cpo. Che, nonostante lo sgombero, non hanno smesso di restare uniti. Chi più e chi meno, con qualche defezione e diversi cambiamenti di vita. Il più noto è forse quello di uno degli imputati, Emanuele Feltri, il giovane imprenditore agricolo di contrada Sciddicuni, a Paternò, minacciato per le sue denunce. «Da centro popolare l’Experia è diventato un collettivo politico – spiega Genovese – Ma è difficile fare aggregazione senza una sede». Un luogo di ritrovo che i ragazzi non hanno comunque smesso di cercare, sempre all’interno del quartiere Antico corso. «Perché crediamo che questo posto sia soggetti a diverse speculazioni – continua – Come la proposta di far diventare il centro popolare un auditorium nonostante ne esista uno in via Santa Maddalena (a cento metri dalla struttura, ndr) oppure l’idea di trasformare l’ospedale Vittorio Emanuele in una residenza universitaria».

«In questi anni non abbiamo mai smesso di cercare un nuovo posto – le fa eco Valeria Castorina, experina della prima ora, dal 1997 – Noi continuiamo a vederci e partecipiamo alle lotte, come quelle dei migranti e dei No Muos». «Ma non avere una sede non ci ha certo aiutati: più che un pensatoio, siamo sempre stati un gruppo bravo a sporcarsi le mani», sorride. Con la palestra popolare e il doposcuola aperti ai ragazzini del quartiere e alle loro famiglie. Con i concerti serali e le iniziative culturali. Un patrimonio collettivo oggi disperso, ma che non ha intaccato i rapporti personali con ragazzi all’Antico corso, che li ha ospitati per più di dieci anni. «Non siamo mai andati via davvero dal quartiere – racconta Castorina – I ragazzini di ieri a cui facevo doposcuola, oggi cresciuti, mi chiamano ancora. Così come i loro genitori». Per questioni di scuola o di condotta. «L’ultimo proprio ieri – continua – Ci siamo visti in piazza Dante e l’ho convinto a riprendere gli studi». Come il suo coetaneo che invece vuole emigrare a Malta e chiede una mano a preparare il curriculum. O come la ragazza che voleva smettere di studiare per fare la parrucchiera «e invece si è diplomata a giugno al liceo scientifico», dice orgogliosa. Per poi aggiungere rassegnata: «Qualcuno, purtroppo, è invece finito male».

Lo avevano detto le stesse mamme, all’indomani dello sgombero: «Dove andranno ora i nostri figli?». Per strada è la risposta che ha confermato il tempo. «I bambini giocano all’ex deposito Amt e al bastione degli infetti – spiega Valentina Genovese – Tutti luoghi insicuri». Come e più dell’Experia, chiuso proprio per il presunto pericolo corso da chi lo frequentava. «L’arena (un giardinetto all’aperto appartenente all’ex cinema, ndr) è ormai un covo di spazzatura e siringhe». Accessibile da un buco nel muro e collegato alla vicina scuola elementare. «Tutti i soldi che hanno speso per chiudere l’Experia, e sono tanti, potevano essere usati per sistemarlo», conclude. E invece il centro resta chiuso in attesa di progetti mai partiti, mentre alcuni dei suoi animatori dovranno rispondere in Tribunale per averlo difeso.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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