Strade provinciali ridotte a terre di nessuno, assistenza scolastica agli studenti diversamente abili ancora in bilico, manutenzione delle scuole superiori affidata alla speranza che non subentrino nuove emergenze. Piano di mobilità per i funzionari provinciali ancora fermo, bilanci colabrodo e, in alcuni casi, stipendi in arretrato.
Uno stato disastroso quello in cui versano i Liberi consorzi e le Città metropolitane siciliani, come più volte ammesso anche dall’assessora regionale alle Autonomie Locali, Luisa Lantieri. Una situazione limite, figlia di una riforma annunciata in tv prima ancora di averne definito i contorni con la maggioranza, reduce da un iter legislativo lungo e in alcuni casi contorto. Una riforma approvata quattro volte e rispedita al mittente in altrettante occasioni da parte del governo nazionale, fino a quando il parlamento regionale, non senza mal di pancia, non ha posto fine a una pagina indecorosa per la politica siciliana, approvando una norma fotocopia della riforma targata Graziano Delrio.
In mezzo, tra la minaccia di un’impugnativa e un ritorno in Assemblea, i tagli indiscriminati alle somme che lo Stato versava annualmente agli Enti di area vasta e il prelievo forzoso delle tasse versate dai siciliani di cui una quota un tempo restava invece nelle casse provinciali. L’inevitabile conseguenza è stato il repentino addio ai servizi un tempo erogati dalle ex Province, dove a restare sono stati soltanto dei funzionari sempre più mortificati nel loro lavoro dall’assoluta incertezza sul futuro e dal dolce far niente, a causa dei bilanci in rosso. Insomma, una situazione ben al di là della fantasia di Checco Zalone e della sua teoria sul posto fisso. Come se non bastasse, la Sicilia – proprio a causa del clamoroso ritardo nell’approvazione della riforma – è rimasta tagliata fuori dalla ripartizione nazionale dei fondi destinati a dare respiro alle casse provinciali.
Intanto, i servizi in capo alle ex Province sono rimasti terra di nessuno, con i trasferimenti a nuove strutture impressi sulla carta, ma mai diventati operativi. Così le strade provinciali sono diventate la narrazione perfetta di quel rattoppo mancato che ha svuotato di significato le istituzioni provinciali, così come gli istituti superiori o l’assistenza agli studenti disabili.
Eppure l’Assemblea regionale è tornata ad affrontare il tema per riproporne l’elezione diretta. Una scelta al limite dell’harakiri, destinata a far infuriare tutti. Dal dirigente scolastico che deve raggruppare gli studenti in un’unica ala della scuola, perché non può garantire la manutenzione in tutta la struttura, all’automobilista che deve percorrere trazzere spesso impraticabili, ma che sono in molti casi l’unica via di collegamento, soprattutto tra i Comuni dell’entroterra, fino al genitore dello studente disabile che non sa se domani, o tra una settimana, a suo figlio sarà garantita l’assistenza in classe.
C’è di peggio: «Col prelievo forzoso che lo Stato opererà anche quest’anno – ammette l’assessora Lantieri -, le Province nel 2017 andranno tutte in default». Insomma, a chi serviranno i consigli dei Liberi consorzi e delle Città metropolitane, indipendentemente che siano eletti dai cittadini o dagli amministratori locali?
«A questo punto – sibilano diversi esponenti della maggioranza a palazzo dei Normanni, ma rigorosamente a taccuino chiuso – sarebbe stato meglio votare una norma che abolisse soltanto i gettoni di presenza ai consiglieri provinciali, senza impantanarsi in una strada senza uscita». Hanno creato un deserto e lo hanno chiamato Liberi consorzi e Città metropolitane.
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