«Se la vicenda degli ex Pip non verrà lasciata fuori dal girone dantesco delle Regionali, il rischio è che questi lavoratori anomali vengano attirati dalle reti della campagna elettorale». L’auspicio di Mimmo Russo, consigliere palermitano che da anni si batte sulla vicenda degli oltre 2.400 ex lavoratori del Piano di inserimento professionale, è che il tavolo convocato lunedì scorso dall’assessore al Lavoro Gialunca Miccichè possa arrivare a ottenere l’agognata stabilizzazione nella Finanziaria che lo stesso Russo spera si possa approvare a novembre. Intanto nel capoluogo siciliano la campagna elettorale – sarebbe meglio dire le campagne elettorali – sono già in fermento. Ci si avvicina alle Regionali previste per giugno 2017, che a Palermo si incrociano con le Comunali.
«A parte la pausa di questi giorni dovuta al prossimo matrimonio dell’assessore – spiega Russo – si sta lavorando per risolvere quella che è una materia complessa perché complessa è la situazione. I Pip non sono catagolabili come lavoratori, non c’è nessun legame di legge, bisognerà essere bravi a trovare formule in parallelo. Prendo per buono il segnale che il governo voglia affrontare il tema adesso, per non dare adito a strumentalizzazioni. E credo che ci possa essere un interesse a 360 gradi da parte dei partiti, in cui ciascuno può dare il proprio contributo, pur con modi e metodologie diverse».
Il capitolo Pip è uno dei più annosi all’interno del libro del precariato della Regione Siciliana. Nati negli anni ’90 all’interno del progetto Emergenza Palermo – che comprendeva l’assuzione di lavoratori appartenenti a categorie svantaggiate come ex detenuti, ex alcolizzati ed ex tossicodipendenti – gli allora dipendenti comunali vennero trasferiti nel 2010 alla Regione dal governo Lombardo. Attraverso la onlus Social Trinacria, creata ad hoc per oltre tremila persone con contratto a tempo indeterminato. Un’esperienza invece chiusa dopo tre anni, dopo la quale vennero licenziati. Per poi essere ripresi non più attraverso un contratto ma con l’elargizione di un sussidio di disoccupazione. Che ha significato un’assenza pressoché totale di garanzie. Per molti è impossibile, ad esempio, ricorrere al medico fiscale proprio perché ufficialmente gli ex Pip risultano disoccupati.
Attualmente lavorano dislocati un po’ ovunque nei pubblici uffici: scuole, tribunali, ospedali, biblioteche. Con una serie di cortocircuiti: come gli ex detenuti che, a causa di condanne con interdizione dai pubblici uffici, lavorano all’esterno dei locali. In attesa di conoscere il proprio futuro, e a volte anche il proprio presente, gli ex Pip guardano con nostalgia alle epoche passate. «Almeno quando eravamo al Comune ci davano le tute di lavoro – dicono alcuni, inseriti all’interno della biblioteca regionale -. Senza parlare delle tutele di quei tre anni con Lombardo. Molti di noi lavorano in questo modo da 18 anni, senza contributi e senza possibilità di sommare altri impieghi, perché c’è da dire che con quei 780 euro del sussidio difficilmente si campa».
Sanno di essere malvisti dall’opinione pubblica, nonché dai colleghi della pubblica amministrazione. Spesso sono un corpo a sé, e sono frequente oggetto di cronache. «Noi veniamo dalla strada – afferma Giuseppe Fuschi, che lavora alla sorveglianza della biblioteca regionale -. Siamo la categoria più degradata ed etichettata. Vero è che ci sono le mele marce, ma queste ci sono anche tra i politici. Tra noi ci sono anche Pip diplomati e laureati».
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