Dino Giarrusso si gioca la partita più difficile della sua breve carriera in politica confidando nella forza delle radici. Chiuso con la tv e abbracciato il Movimento 5 Stelle, il catanese si è candidato alle Europee in Sicilia e Sardegna. Toni sempre al limite e polemiche feroci vengono catalizzate dalla figura dell’ex Iena, nel mirino persino dei suoi vecchi colleghi di redazione. Ha pesato più di una tirata d’orecchi, infatti, la presa di posizione del programma di Italia 1 riguardo all’uso elettorale che Giarrusso ha fatto del richiamo alla sua vecchia professione. Il consulente del ministero dell’Istruzione ha ribattuto girando palmo a palmo le Isole, conscio che l’avversario più forte forse ce l’ha in casa: l’eurodeputato uscente M5s Ignazio Corrao, oltre 70mila preferenze alle elezioni di cinque anni fa.
Dino Giarrusso, questa campagna elettorale sembra essere in salita. Prima l’«invito» della trasmissione Le iene a non usare più quel nomignolo, poi la faccenda del sondaggio «taroccato» dai troll, poi la notizia sul selfie nudo diffuso online da un misterioso avversario, infine il tema della campagna elettorale «stile Dc», come l’ha definita Repubblica. Lei ha annunciato querele. Partiamo da qui. Non le è sembrato azzardato, a un incontro elettorale, parlare della squadra di possibili assistenti che lei avrebbe se eletto?
«Se avesse visto il video saprebbe che a Ravanusa ho pubblicamente raccontato una verità scomoda, come facciamo sempre noi del Movimento 5 stelle: ogni parlamentare europeo ha 25mila euro al mese per la squadra dei suoi collaboratori. Io, a differenza di chi ha assunto amichetti, fidanzate o figli, ho dichiarato pubblicamente che farò dei colloqui in piena trasparenza, e che sceglierò i collaboratori affinché siano rappresentativi dell’intero territorio, e non solo di una zona. La Dc faceva il contrario: prometteva lavoro e premiava i galoppini, io annuncio trasparenza e legami duraturi coi territori, perché io sono del M5s e non ho nulla a che fare con la vecchia politica e questo comprendo sia scomodo per tanti».
Al di là del team di un parlamentare europeo, il tema del lavoro è fondamentale in una terra come la Sicilia. Le oltre 128mila domande per il reddito di cittadinanza dimostrano che il problema è di proporzioni vastissime. A questo bisogno di occupazione lei come risponde? Il Movimento 5 stelle è spesso accusato di tendere più all’assistenzialismo che alla ricerca di metodi concreti per creare posti di lavoro.
«Solo chi è in malafede può accusare il M5s di assistenzialismo. La Costituzione prevede che ciascun cittadino abbia diritto a una vita dignitosa, e Pertini lo ricordava sempre, con toni giustamente accesi. Eppure è dovuto arrivare il M5s al governo per ridare dignità a chi non aveva nulla. Per 25 anni centrosinistra e centrodestra hanno creato disoccupazione, accresciuto la povertà e contrabbandato la precarietà per flessibilità, distruggendo di fatto i diritti dei lavoratori, oltre ad aver gettato un miliardo di euro l’anno per i centri per l’impiego totalmente inadatti a creare o trovare lavoro. Noi stiamo riformando un sistema dalle fondamenta e, una volta completato, il Reddito di cittadinanza creerà lavoro e opportunità, oltre a tamponare la povertà estrema».
Lei è una di quelle anime del Movimento 5 stelle che, semplificando, ci si potrebbe immaginare più spostate a sinistra. Cercando negli archivi dei giornali, si trovano perfino esami fatti in strada davanti a un centro sociale catanese occupato subito dopo lo sgombero dalle forze dell’ordine (l’Experia, lei lo ricorderà). È un errore pensare che lei sia più vicino alle posizioni di Roberto Fico che a quelle di Danilo Toninelli?
«Personalmente ho un rapporto più stretto con Toninelli che con Fico, ma il M5s non ha correnti o fazioni, è un insieme di donne e uomini liberi. Le mie idee non sono cambiate: sto coi più deboli e più poveri, sto con chi combatte la mafia e la corruzione, infatti sto con chi ha fatto Rdc, spazzacorrotti e decreto dignità. Quel centro sociale faceva un’attività meritoria con bambini e ragazzi, togliendoli dalla strada in un quartiere devastato dal potere mafioso. Il mio gesto simbolico voleva sensibilizzare su quanto ci fosse bisogno di aiutare e semmai supportare quell’attività, e non certo di chiuderla».
Proprio nei giorni scorsi il ministro dei Trasporti, rispondendo a Matteo Salvini sull’arrivo della Sea watch a Lampedusa, ha ribadito che i porti sono e restano chiusi. Lei cosa ne pensa? Qual è la sua posizione rispetto al tema migranti e all’attività delle Ong?
«È un fenomeno epocale che può risolversi solo a livello europeo. L’Italia è stata lasciata sola, e qualche politicante senza scrupoli ne ha fatto un business, come dimostrano le inchieste sul Cara di Mineo e la frase chiave di Buzzi “con gli immigrati faccio più soldi che con la droga”. Servono mezzi e strategie europee per aiutare chi ne ha bisogno ed evitare conflitti sociali che portano solo problemi. Lampedusa, Pozzallo, Catania sono per i migranti porte d’Europa, non d’Italia. Moltissimi di loro vorrebbero andare in Svezia, Belgio, Germania o Francia, e sbarcano qui solo perché siamo vicini geograficamente. Ignorare questo dato di fatto e lasciare sola l’Italia non fa il bene di nessuno: né di chi arriva qui, né degli italiani, né della pace sociale e dell’integrazione. Ma da questo orecchio finora l’Europa non ha voluto sentire…»
Com’è passato dall’essere il prof contro lo sgombero di un centro sociale a politico alleato con Matteo Salvini?
«Come ho detto prima amavo i più deboli allora e li amo adesso. Quel centro sociale si occupava dei più deboli, il Reddito di Cittadinanza aiuta i più deboli. Chi pensa che si aiutino i più deboli stando seduto a casa a scrivere commenti indignati su Facebook dovrebbe parlare con chi percepisce il reddito, e comprendere quanto bene stia facendo all’Italia il rispetto del contratto di governo. Giudicare un governo da un nome e non dai provvedimenti presi (spazzacorrotti, RdC, abolizione dei vitalizi, decreto dignità ecc.) è sintomo di un’ignoranza e di una distanza dalla realtà concreta che mettono spavento».
Com’è andato il suo lavoro sui concorsi universitari? Lei ha dichiarato che si sarebbe occupato di controllare gli iter seguiti dagli atenei. Una sorta di «ispettore» anti-baronati. Ne sono stati scovati? Ci può dare qualche numero?
«Sono orgoglioso del lavoro fatto, che è stato talmente complesso e delicato da aver convinto il ministero ad aprire ufficialmente un osservatorio sui concorsi, con personale dedicato totalmente a raccogliere denunce, catalogarle e risponder in tempi brevi, chiedendo spiegazioni – se è il caso – agli atenei coinvolti. Le denunce arrivate sono centinaia e spero con tutto il cuore che questo lavoro serva a rendere più trasparenti e meritocratiche le procedure di reclutamento dei docenti universitari, una volta per tutte».
Ha mai pensato a una candidatura come sindaco di Catania?
«No, anche se era stata ventilata – prima per scherzo, poi seriamente – qualche tempo fa. Al momento vorrei servire la mia Catania, insieme a tutta la Sicilia e la Sardegna, da parlamentare europeo. E spero vivamente che i catanesi vogliano scegliermi come loro rappresentante in Europa. Peraltro credo di essere l’unico catanese che ha reali possibilità di farcela, e sarebbe gravissimo se Catania restasse senza nemmeno un europarlamentare».
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