Europee 2019, Bonforte e la Sinistra senza messia «Fava che vota il Pd? È l’uccisione dei Cento passi»

Una vita in prima linea, con la barra sempre a sinistra. Anna Bonforte Papale, 49 anni, consulente del lavoro, porta in dote al cartello elettorale de La Sinistra – l’alleanza di Sinistra italiana e Rifondazione, in antitesi al centrosinistra basato sul Pd – la sua esperienza multiforme nei comitati e nelle assemblea di base, «sui territori». Il suo volto, per le cronache, è indissolubilmente legato all’eterna lotta dei comitati di Motta Sant’Anastasia, suo paese d’origine, e Misterbianco contro la discarica di Tiritì, alle porte di Catania. Una candidatura all’Europarlamento che incarna lo zoccolo duro della sinistra etnea, stretta fra le solite mille fratture e la concorrenza del Pd che, con l’arrivo di Zingaretti, prova a sedurre anche l’elettorato più progressista. 

Anna Bonforte, femminista, pacifista, ambientalista, No Tav, No Triv, No Muos. La signora dei No ha detto sì alla candidatura. Ci racconta com’è andata? Aveva mai pensato di potersi candidare alle Elezioni europee? Oppure ha deciso di metterci il nome perché la lista ne aveva bisogno?
«La signora dei No per ciascuno dei No ponderati, certamente mai irragionevoli o resi per pregiudizio, ha sempre accompagnato le proprie convinzioni con dei Sì altrettanto grandi e motivati, spesso traducendoli, quei Sì, in proposte di leggi depositate e talvolta anche approvate, come la legge sull’acqua pubblica in Sicilia, la 19 del 2015, o come le altre leggi d’iniziativa popolare sui rifiuti, sul lavoro e sui beni comuni. La mia candidatura è nata inaspettatamente da ben due assemblee pubbliche tra Ragusa e Siracusa mentre io cercavo di costruire la partecipazione più larga possibile alla campagna elettorale europea. La Sinistra ha bisogno di tutte e tutti».

Il progetto de La sinistra è un esperimento che un po’ somiglia a quello di Cento passi per la Sicilia con Claudio Fava. Ma lui ha detto pubblicamente che appoggia Pietro Bartolo, candidato del Partito democratico. Come l’avete presa? Vi aspettavate un appoggio da parte del deputato regionale che avete contribuito a eleggere e con il quale avete festeggiato a novembre 2017?
«L’abbiamo presa come un’idea legittima ma totalmente slegata dalla razionalità politica, come l’uccisione di una giovane creatura, il movimento dei Cento Passi, di cui il presidente della Commissione Antimafia era garante e responsabile. La dispersione gratuita di una comunità politica, non un tradimento, ma proprio un calcolo prospettico infondato, perché l’alleanza con il Pd, ove mai possibile, dovrebbe essere ragionata da posizioni di non subalternità a un progetto, prima ancora di qualsiasi storia nobile come quella di Bartolo o di un qualunque lampedusano da candidare al premio Nobel per la Pace. Se invece la scelta di Fava fosse stata di cuore, è ben strano che non abbia sentito l’esigenza di comunicarcela prima dell’endorsement sui giornali. Il progetto della Sinistra parte dagli stessi presupposti dei Cento Passi, è evidente che stavolta non aspetteremo altri messia per radicarci e strutturarci nei territori».

In Sicilia, e in particolare a Catania, la sinistra è divisa in mille rivoli che molto difficilmente trovano una strada comune. Mille sigle, comitati e forum, che spesso portano avanti istanze simili ma che non rinunciano alla propria identità individuale, anche se questo significa restare divisi. Perché?
«Perché per natura la sinistra non sviluppa le sue istanze intorno alla mistica di un capo, ma attorno a progetti che spesso divergono nei metodi o nelle strategie per raggiungere obiettivi comuni. Qualche volta ci sono anche posizioni insanabili, No Euro e No Europa, per dirne due , che mal si conciliano con le candidature al parlamento europeo, e poi il virus dei narcisismi, dopo anni di personalizzazioni in politica, ha attecchito anche in noi. Ma stiamo rinsavendo e la nostra credibilità dipende anche da quanto velocemente guariremo dal guardare solo al nostro ombelico».

La sensazione è che la lista La Sinistra sia stata messa in piedi, almeno in Sicilia, soprattutto per non «saltare un altro giro». Ci riferiamo, in particolare, all’assenza di una formazione di sinistra alle elezioni amministrative 2018 nel Comune di Catania. È così?
«In politica coraggio e ritmo contano molto più della competenza e dell’organizzazione, che pure sono due skills fondamentali in politica, l’onestà è pre-politica, la considero di default. Ebbene, le opzioni sono alternative: si saltano i prossimi tre-quattro turni elettorali, ci si chiude a studiare, studiare, studiare e nel frattempo crescono nuove generazioni che portano le vecchie istanze in modo nuovo, oppure, non si possono saltare turni come in maniera incongruente ed ingiustificata è successo a Catania per l’insipienza di un’assemblea pubblica mal condotta, per il ritiro inopinato della candidatura di Notarbartolo, per l’intempestività di un comunicato di Fava, non concordato con i Cento Passi, che prendeva atto del ritiro e chiudeva ad ogni possibile altra scelta. Salvo poi la scena, appena ripetuta, di appoggiare, a titolo personale, giusto quell’Abramo ora primo sponsor di Bartolo, e forse si è chiuso il cerchio, finalmente nella chiarezza».

Il suo impegno civico è noto da anni. Una delle sue battaglie storiche è quella contro le discariche di Motta Sant’Anastasia e Misterbianco. A che livello l’Unione Europea può supportare le istanze territoriali come la lotta contro gli impianti Oikos?
«Una delle battaglie storiche, oltre la chiusura della discarica abusiva a meno di 500 metri dal centro abitato, è la bonifica di Contrada Tiritì, la prima e più vecchia vasca, per la quale non basta la messa in sicurezza, ma come Tiritì sono tantissimi in Europa, più di 300mila, i siti potenzialmente inquinati, poiché i singoli Paesi utilizzano tuttora definizioni differenti. Ogni Stato ha adottato provvedimenti di diverso genere ed efficacia e non è stata a tutt’oggi emessa una direttiva che identifichi un sistema unitario di tutela del suolo, fissando gli obiettivi da rispettare per i singoli Stati. Manca l’identificazione dei valori soglia in Europa, attualmente non omogenea, pertanto è necessaria una direttiva univoca relativa all’utilizzo dei siti contaminati».

Accoglienza. Il Cara di Mineo, ormai, è quasi vuoto. Gli sbarchi si sono interrotti di fronte all’assenza di soccorsi in mare (se nessuno li aiuta, i natanti naufragano e i migranti muoiono, ma nessuno lo sa). Il decreto Sicurezza bis vuole togliere alla procura di Agrigento l’autorità sui migranti. Più i movimenti di destra prendono piede, più le frontiere sembrano sbarrate. Da che parte dovremmo andare, secondo lei?
«Dalla parte dell’articolo 13 della dichiarazione dei diritti dell’uomo: diritto a lasciare qualsiasi Paese, diritto a restare o ritornare nel proprio Paese, assicurando la libertà di movimento. Organizzare i corridoi umanitari, smettere di rubare ai paesi ricchi dell’Africa come negli ultimi 200 anni, riproporre la riforma del terzo Regolamento di Dublino come già approvata dai 2/3 dell’attuale parlamento, introdurre una legislazione che consenta il lavoro regolare, in Italia non si può entrare se mancano i decreti flussi, stringere alleanze con i paesi che come noi accolgono, non foraggiare Orban e i paesi che pur beccandosi i soldi dell’Europa solidale non rispondono agli obblighi di chi fa parte della comunità europea».

Lei si definisce «femminista». Spesso si cita il modello scandinavo come esempio di Welfare che punta alla parità di genere, ma in Italia ancora si discute dell’Iva sugli assorbenti. Quote rosa sì o no? Il problema della parità di genere nelle istituzioni è a livello politico o, invece, amministrativo?
«Sono vetero femminista per antica formazione politica e per contrasto alla cultura materna (monarchica e maschilista) di cui porto il nome solo su Facebook. Quel Papale aggiunto al mio cognome, fortunatamente mentre mia madre era ancora in vita, è l’indice della matrilinearità non riconosciuta dal nostro ordinamento. Come si può discutere di coppette, assorbenti biodegradabili o monouso al 22 per cento quando sui rasoi e sul tartufo si paga l’Iva al 5 per cento? Qualunque roba le donne decidano di usare è un presidio igienico sanitario di lunga durata, almeno 40 anni, che non dovrebbe neanche essere discusso, soprattutto da maschi! Quote sì, servono come il pane, appunto non siamo in Svezia, stiamo ancora a discutere di assorbenti. Quale parità di genere se i salari delle donne nella media europea sono inferiori del 16,32 per cento? Mancano fondi ai centri antiviolenza, non c’è una sana educazione sessuale e di genere a scuola. E magari ci vorrebbe che l’intera categoria dei giornalisti declinasse al femminile i nomi, senza sfottò, aiuterebbe alla corretta percezione della realtà: esisto e vado nominata per il mio genere, non esiste il ministro incinta».

Marta Silvestre

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