Rispunta sull’Etna la «pista fantasma». Secondo i sindaci di Bronte, Maletto e Randazzo lo è quel tratto di strada sterrata che collega il versante sud al versante nord del vulcano, attraversando ad alta quota il versante ovest della montagna, area che i tre Comuni si dividono. Graziano Calanna, Salvatore Barbagiovanni e Michele Mangione ritornano così ad alzare la voce all’indomani dell’appalto delle escursioni in jeep su un altro tratto di pista, quello che da Piano Provenzana va alla base dei crateri, passando per i territori di Linguaglossa e Castiglione.
Il nodo è proprio lo sfruttamento a fini turistici delle piste d’accesso all’Etna. Un mercato che pure l’Autorità Antitrust ha posto sotto osservazione rintracciando – nelle varie procedure degli affidamenti alle società Star e Funivia dell’Etna delle uniche vie che conducono ai crateri sommitali del vulcano – le basi di una gestione «contraria ai principi posti a tutela della concorrenza». Sulla pista del versante ovest, così come attestato dal Parco dell’Etna nel 2016, si sarebbero svolte «attività non autorizzate», forse anche lo stesso trasporto dei turisti. I tre Comuni, dunque, affermano in una nota che «la pista deve essere assolutamente interdetta a visitatori e personale turistico». Perché «quella pista è stata realizzata arbitrariamente – si legge – siamo disposti a regolarizzarla, ma prima deve essere registrata al catasto e occorre avere la certezza che non sia utilizzata ai fini turistici».
L’iniziativa dei tre sindaci era partita quando la prefettura di Catania, nei mesi scorsi, aveva chiesto loro di intervenire sulla strada per ripristinarla, dopo le ultime eruzioni sommitali, per ragioni di sicurezza. Bronte, Maletto e Randazzo sostengono di scoprire, di fatto, proprio in quel momento la pista che passa per i loro territori. E chiedono allora di capire l’uso che ne viene fatto, vista la denuncia del Parco su i presunti lavori abusivi in una strada inesistente per le carte dei Comuni. Se adesso gli enti devono garantirne l’integrità per motivi di protezione civile – questo il ragionamento dei sindaci – occorre però capire cosa è successo sull’Etna e come si è arrivati alla creazione del percorso.
Per la prima volta i Comuni citano date e documenti: «Questa strada non compariva nella cartografia Igm (Istituto geografico militare) del 1967 – scrivono i sindaci – appare invece nel 1983. Da quando si rileva è stata verosimilmente realizzata arbitrariamente e senza alcuna autorizzazione emessa né dai Comuni, né dal Parco». Prima si regolarizza la strada, allora, e meglio è. Ma al momento la si dovrà usare solo «per fini di servizio, studio, soccorso e protezione civile».
Nemmeno Bronte, Maletto e Randazzo possono, in realtà, essere sicuri del limite fino a cui possono spingersi negli appelli. Poiché infatti i loro territori montani, attraversati dalla strada, risultano di proprietà o dati in concessione all’ex Azienda foreste demaniali. Che, a sua volta, in estate ha rinnovato un accordo di gestione con la società Star, ex gestore storico delle escursioni in jeep sul versante nord e parte del gruppo imprenditoriale Russo Morosoli.
Che le rivendicazioni delle tre amministrazioni possano scontrarsi con il rilancio del turismo in quota cui lavorano Linguaglossa e Castiglione è scenario allontanato dal sindaco del primo Comune, Salvo Puglisi. Il trasporto appaltato mercoledì all’ati Etna mobility rispetterà i confini comunali: «Le jeep non arriveranno nei loro territori – dichiara il primo cittadino a MeridioNews – ai crateri i turisti arriveranno a piedi, il bando si limita al nostro tratto di strada». Puglisi poi commenta: «Ѐ nei fatti che esiste una strada che sulla carta in realtà non esiste, i Comuni fanno bene a chiedere la regolamentazione ma c’è anche il problema della proprietà dei terreni, visto che l’ex Azienda che li ha concessi alla Star».
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