«L’Etna si conferma terra di nessuno». Con queste parole Giuseppe Distefano, presidente dell’associazione Etna Walk, commenta la disavventura capitata all’amico e fotografo Claudio Pia, venuto «da Chiavari in vacanza in questa terra maledetta» e per realizzare delle foto. Ma la vera sorpresa per il professionista non sono state le grotte che impreziosiscono il vulcano etneo, bensì il ritrovamento di un finestrino dell’auto spaccato. «Fortunatamente la macchina presa a noleggio è assicurata anche per questo genere di cortesie – continua Distefano – La brutta figura, invece, rimane a nostro carico. Vergogna». E il caso del fotografo ligure non è isolato. «Sull’Etna questo tipo di reati sono in aumento – spiega un poliziotto, conoscitore e appassionato della montagna, che preferisce restare anonimo – Le zone più a rischio sono la strada provinciale 92, che porta da Zafferana al Rifugio Sapienza, e la Mareneve, che collega Fornazzo con Piano Provenzana». La soluzione? «Chiedere un incontro in prefettura e installare degli impianti di videosorveglianza», propone l’agente. Ma finora nulla è stato fatto.
Anzi, rispetto al passato, si registrano dei passi indietro. «Una volta al Rifugio Sapienza c’era una stazione dei carabinieri e una postazione temporanea della polizia stradale, che si occupava per lo più di viabilità. Oggi sono scomparsi entrambi i presidi, a causa dei tagli». Poche risorse in termini di uomini, ma anche di mezzi. «Compresa la benzina che già manca e che sarebbe una spesa notevole per fare sempre su e giù dalla montagna». Un problema che riguarda soprattutto i carabinieri, perché più distribuiti sul territorio con le stazioni di Nicolosi, Zafferana e Linguaglossa. Il commissariato di polizia più in alto, invece, è quello di Adrano.
Secondo il poliziotto, una soluzione potrebbe essere coinvolgere i forestali, dotandoli di maggiori competenze nel controllo del territorio. Area di cui però non va sottovalutata la vastità. «Per questo propongo di installare delle telecamere a circuito chiuso in alcuni punti strategici: nelle piazzole di sosta delle auto delle località calde, individuate in base alle denunce e alla viabilità. Come deterrente e per un eventuale riconoscimento successivo dei ladri». In ogni caso, aggiunge, «servirebbe un incontro in prefettura richiesto dagli operatori del settore turistico per vedere cosa si può fare per arginare questo fenomeno in crescita, che è davvero una brutta cartolina per il nostro vulcano».
Anche perché a subire la maggior parte dei furti sono proprio i turisti, «perché non sanno e non immaginano che possa succedere anche in montagna». Così capita di lasciare uno zaino o delle attrezzature sui sedili di un’auto che resta ferma «da dieci minuti a due giorni, se ci si ferma a dormire in un rifugio». E mentre i proprietari si allontanano dai propri mezzi per l’escursione, i ladri ne approfittano. «Forse sono un’unica banda, ma di sicuro c’è un minimo di organizzazione – commenta il poliziotto – Vengono in montagna appositamente per fare questo e rovinano una delle nostre più grandi bellezze».
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