Esami falsi a Medicina, domiciliari già finiti Il dipendente Caruso torna a lavoro a Unict

Da un lato gli ex colleghi ancora scossi e costretti a lavorare con la Guardia di finanza accanto. Dall’altro il presunto dipendente infedele di Unict ancora in servizio, ma in un altro ufficio. La decisione della Cassazione comunicata alla stampa ieri non muta la situazione di Giovambattista Luigi Caruso, uno dei due dipendenti dell’Università di Catania accusato di aver falsificato gli statini di due studenti di Medicina, vendendo 20 esami in totale al prezzo di 250 euro ciascuno. La Cassazione ha sì respinto il ricorso della difesa contro la misura cautelare chiesta dalla Procura di Catania lo scorso dicembre, ma – come conferma il legale del dipendente accusato, Salvatore Caruso – nel frattempo sono sopraggiunti i termini della custodia.

Giovambattista Luigi Caruso è così tornato in libertà, ma anche a lavoro, sempre all’interno dell’ateneo di Catania. Dopo la sospensione dello scorso 9 dicembre, imposta perché costretto agli arresti domiciliari, dal 15 luglio i vertici di Unict hanno reintegrato in servizio Caruso, destinandolo da allora alla tipografia universitaria, ente dell’Ateneo che si occupa di realizzare materiale che va dalle copertine di libri e libretti universitari ai gadget e materiale di cartoleria.

Riammesso al lavoro da tre mesi, quindi, ma in un ufficio diverso da quello nel quale sarebbe stato commesso l’illecito. La vicenda prende il via quasi un anno fa, a ottobre, quando il rettore Giacomo Pignataro annulla una laurea, a seguito di una lettera anonima inviata da alcuni studenti di Medicina nella quale si denunciava il caso di un ragazzo arrivato alla discussione della tesi senza aver sostenuto 17 esami. Dopo le prime verifiche le accuse vengono confermate e la segnalazione passa alla Procura della Repubblica. Vengono individuati Francesco F, figlio di un medico della provincia di Siracusa, e Daniele D. Il primo ha falsificato 19 esami, il secondo uno soltanto. Entrambi gli studenti si sarebbero rivolti a Giuseppe Sessa, dipendente e autista del dipartimento di Medicina, indicando la materia e pagando i 250 euro. Quest’ultimo avrebbe girato la richiesta a Caruso che, con le proprie credenziali, avrebbe effettuato l’accesso al Centro elettronico d’ateneo (Cea), per modificare le carriere in coincidenza con le sessioni di laurea per non far scoprire i cambiamenti anomali.

Anche nelle stanze di palazzo Centrale si è cercato di capire cosa comportasse la decisione della Corte. Dopo un’iniziale fase di confusione, assodato che il dipendente aveva già scontato la misura cautelare confermata dalla Cassazione, l’Università ha deciso di aspettare il prossimo pronunciamento di un giudice, mantenendo stipendio e livello di carriera finora maturati da Caruso. 

In una sorta di auto-tutela, inoltre, l’amministrazione universitaria ha scelto di interrompere il procedimento disciplinare promesso dal rettore Pignataro fin da subito. I capi d’accusa dei quali dovrà rispondere Giovambattista Luigi Caruso, infatti, sono estesi rispetto a quelli individuati dall’indagine voluta dal magnifico. Per questa ragione è stato deciso di attendere la sentenza e prendere solo dopo i provvedimenti necessari, che potrebbero includere il licenziamento.

Ma tra i corridoi del dipartimento di Medicina l’aria rimane tesa. Le pergamene degli studenti che si sono laureati nelle sessioni incriminate (settembre e ottobre 2013) sono bloccate, così come tutti i registri relativi alle attività di segreteria. E gli ex colleghi di Caruso sono costretti a convivere con la costante presenza dei militari della Guardia di finanza, incaricati dalla Procura etnea di sorvegliare i documenti posti sotto sequestro.

Caruso deve rispondere dell’accusa di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, falsità ideologica su documenti informatici, accesso abusivo a un sistema informatico e falsità ideologica commessa da terzi – cioè i docenti della facoltà – per errore determinato dall’altrui inganno.

Carmen Valisano

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