Ernesto Basile, un atlante per far rivivere i suoi progetti «Il suo è un racconto di pietra fra edifici che si parlano»

«Ernesto Basile è parte del nostro patrimonio culturale, è un pezzo delle nostre radici, conoscerlo è importantissimo». C’è un entusiasmo negli occhi dell’architetto palermitano Danilo Maniscalco che è difficile da tradurre con le parole. Un entusiasmo misto a orgoglio, mentre racconta della straordinaria eredità lasciata da uno dei maestri assoluti della Belle Époque. E che lui ha deciso di riscoprire, ripercorrendone fisicamente tappe, luoghi, creazioni. Lo ha fatto impegnandosi in prima persona in un progetto tanto ambizioso quanto affascinante, un atlante delle opere di Ernesto Basile, a cui ha cominciato a lavorare a fine marzo. «Torno e ritorno sui posti, nei suoi posti, riscoprendo il disegno dal vero a dispetto del maledetto computer». Una penna nera, una dorata comprata per caso, non ricorda neppure più perché quella scelta, ed ecco rivivere i particolari dei suoi progetti: dal villino Florio, restaurato dopo l’incendio del ’62, alle cappelle gentilizie nel cimitero di Sant’Orsola. «Chissà cosa avranno pensato tutti quelli che, in visita ai propri cari che non ci sono più, mi hanno trovato lì, intento a fissare particolari o assorto a disegnare», un pensiero che lo fa sorridere.

È un lavoro, questo, mosso soprattutto dalla riconoscenza verso quello che lui considera un maestro, o per lo meno uno di quelli a cui Palermo deve moltissimo in termini di identità culturale. Ricordarlo, oggi, sembra quindi il minimo. «Ho scoperto delle cose che sui libri non ci sono, non per un’anomalia di tipo intellettuale, ma forse perché banalmente nessuno si è mai messo a disegnarli dal vero come sto facendo io, scoprendo che contengono sempre una sorta di rimando a un altro edificio – rivela poi Maniscalco -. Basile ha scritto un racconto di pietra in 50 anni di architettura, come in un grande gioco di rimandi, come se tutti gli edifici fossero in qualche modo collegati fra loro». A metà agosto i disegni erano già ultimati, salvo tre-quattro edifici privati più difficili da raggiungere, per i quali «sto cercando l’intercessione di alcuni amici per raccomandarmi ai proprietari e farmi entrare». Nell’attesa, Maniscalco sta lavorando alle appendici scritte che accompagneranno i suoi disegni. Oltre, chiaramente, a sondare il terreno dal punto di vista editoriale, dal momento che l’idea raggiunge piena completezza e senso con una pubblicazione del lavoro finale, nell’ottica anche di farlo arrivare soprattutto nelle scuole. Nel frattempo, però, Palermo si è potuta gustare una sorta di anteprima dell’atlante grazie a un particolare che ha tappezzato, in formato gigante, le vetrine di Bisso Bistrot, ai Quattro Canti, per alcuni giorni.

«In qualche maniera noi l’eco Liberty ce l’abbiamo dentro – afferma il giovane architetto -. Questo lavoro mi ha restituito la capacità di riscoprire le cose, partendo da quegli stessi progetti, che sono pieni di particolari e dietro c’è uno studio enorme da parte del progettista, che avrebbe potuto fare delle cose anche più banali o limitarsi a dire “fallo come abbiamo fatto in quell’altro edificio” e chiuderla lì. Invece per Basile ogni edificio è un libro, è come se tutte le volte scrivesse un romanzo diverso, dove la composizione e la cifra stilistica però sono sempre quelle, le sue, riconoscibili. Non è un problema di nicchia, la bellezza è oggettiva e chiunque può coglierla». Magari passeggiando per le strade di Palermo, fermandosi poi ad osservare, come ha fatto Maniscalco. E come ha fatto, prima di lui, lo stesso Ernesto Basile, che contemplava le ringhiere delle chiese palermitane, ispiratrici magari dei quei «capolavori di design» che sono i suoi ferri battuti, «un esempio di tecnologia a sé, che venivano assemblati a parte da artigiani che riproducevano in maniera fedele i suoi progetti». Insomma, «c’è un’Art Nouveau travolgente a Palermo che, forse, non viene raccontata come dovrebbe».

E c’è un’eredità che si fatica a raccogliere, a recuperare, a far nostra. Malgrado le idee non manchino, anzi. Come l’Effetto Basile, il documento approvato all’unanimità dal consiglio comunale il 20 novembre scorso, che ha visto tutti d’accordo, tutti dalla stessa parte nel nome di Ernesto Basile. Il consiglio, riunito in seduta straordinaria nella sala Ducrot del Grand Hotel Piazza Borsa, non ha scelto una data a caso, ma quella del centenario della prima seduta pubblica di Montecitorio a Roma, palazzo per cui Basile progettò l’ala nuova, con tanto di messaggio inaugurale del presidente della Camera Roberto Fico, «insomma non ce la siamo raccontata tra di noi», sottolinea Maniscalco. Una seduta che ha segnato un punto importante con l’approvazione di quel documento e, soprattutto, dei suoi 14 punti, i primi atti di immediata fattibilità per rendere innanzitutto Basile icona urbana, al pari di Gaudì a Barcellona, e che «impegnano l’amministrazione comunale a inaugurare una nuova epoca culturale per la città, volta a reimpossessarsi della consapevolezza del periodo storico della Belle Époque palermitana, di cui Ernesto Basile fu massimo esponente, che vide la città raggiungere il culmine del suo splendore culturale ed economico, come elemento imprescindibile nella definizione della nostra identità culturale», recita il documento stesso.

Ma dal quel 20 novembre sono passati intanto due mesi e il primo punto è già stato disatteso. «Il sindaco ne aveva assicurato l’attuazione entro il 7 gennaio, si tratta di cambiare il nome della via Oberdan, che ha come fondale prospettico il villino Florio progettato da Basile, con un’intitolazione a Donna Franca Florio. Significherebbe dare un segnale positivo e lasciare un segno. Ma quella data è già passata – sottolinea amareggiato l’architetto -, capisco che possano esserci problemi burocratici o cavilli normativi che noi non conosciamo, però non stiamo parlando di fissione nucleare, ma solo di cambiare il nome di una strada». Intanto il documento, con tutti i suoi 14 punti, è stato approvato, ma l’approvazione da sola non basta. Adesso servono i fatti.« Il sindaco stesso ha proposto di costruire all’interno del consiglio comunale un’apposita cabina di regia che si occupi di far sì che i 14 punti arrivino a compimento, almeno la maggior parte, entro un anno. Non ci sono degli esborsi da parte dell’amministrazione comunale, solo un segnale, solo fare la sua parte. Ma dopo due mesi non si è ancora mosso nulla».

Non è servito a fare da stimolo l’anno della Capitale della cultura, né quello di Manifesta. «Quanti soldi ci sono voluti per portare la biennale di arte contemporanea qui? E in città non è rimasto niente – osserva Maniscalco -. Una piccola percentuale dei tantissimi soldi spesi poteva anche essere dirottata per una cosa del genere, per recuperare e valorizzare qualcosa che ci appartiene già e che sarebbe rimasta qui, a noi. Non è un caso che uno di quei 14 punti chiede che l’uno per cento della tassa di soggiorno della città, che è pochissimo, vada in un piccolo fondo che servirà solo per realizzare un gruppo scultoreo dedicato a Ernesto Basile. Annualmente parliamo di circa 40mila euro, da zero a questa cifre è già qualcosa. Noi ci abbiamo almeno pensato, avrebbe potuto farlo anche l’amministrazione. Restiamo comunque positivi e ottimisti, il documento è stato approvato all’unanimità, ci aspettiamo qualcosa adesso. Verrà fatto, come al solito, tutto negli ultimi sei mesi?», non può non domandarsi. I restanti punti del documento sono tutti a costo quasi zero: tra questi c’è, ad esempio, di rendere pedonale l’attuale via Oberdan realizzando un viale alberato ciclo-pedonale che restituisca al villino Florio l’illusione di una prospettiva che richiami quella della sua concezione originaria a conclusione di un viale alberato. C’è anche la richiesta alla Soprintendenza di apposizione di vincolo monumentale a tutte le opere progettate da Ernesto Basile, e l’istituzione di un percorso ad hoc a lui dedicato, attraverso la localizzazione e la messa in rete delle opere con segnaletica dedicata, logo riconoscibile, tabelle descrittive sui luoghi delle opere, sia esistenti che perdute.

E c’è, ovviamente, anche villa Deliella. Il 28 novembre saranno 60 anni che è stata demolita: per quella data con quel documento ci si impegna, almeno sulla carta, a realizzare un percorso di riflessioni condivise con la città e con i suoi principali attori culturali che hanno recentemente manifestato interesse sul destino urbano di museo dell’area a piazza Francesco Crispi dove, al posto della villa demolita nel 1959, per anni ha avuto sede un parcheggio-autolavaggio chiuso da quasi un anno perché non in possesso dell’autorizzazione unica ambientale. «I sigilli avrebbero dovuto accelerare l’idea che avevamo noi, invece non è successo nulla. Quello che può fare un singolo cittadino arriva a un limite, penso insieme ad altri di averlo raggiunto. Il motore deve essere una classe politica che, in questo caso, non sembra all’altezza di quello a cui noi aspiriamo. Il dibattito a un certo punto si è spostato all’Assemblea regionale, dove il tema fortunatamente è tornato in auge e su cui si sta provando a dare la possibilità di incidere, l’interesse sta migrando insomma. Perché noi l’eredità lasciata da Basile ce la meritiamo, semmai è proprio questa classe politica che non ci meritiamo». 

Silvia Buffa

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