Epatite C, questa sconosciuta

Catania – «Ho sbagliato molto nella mia vita e questo è il risultato» esclama Walter con voce sommessa mentre riordina il letto della sua camera. I suoi occhi castani sono grandi come lanterne e il suo viso è piccolo e scarno. Indossa una vestaglia blu molto ampia, troppo forse per un corpo esile come il suo. Con cura scrupolosa sistema il lenzuolo verde, la coperta marrone, la federa del cuscino gialla. I movimenti del corpo sono lenti e un po’ impacciati.

La stanza parla molto di lui. Sulle pareti vi sono fotografie che lo ritraggono in molti luoghi: al mare, nella piazza del paese, in montagna. Anche l’armadio color latte che si trova di fronte al letto è tappezzato di foto: gli amici, la sorella, la madre, i nipoti e il padre. «Me lo sono meritato» sbotta sedendosi sul letto. Nei suoi occhi si intravede l’asprezza delle sue parole. Congiunge le mani come se stesse pregando. Abbassa lo sguardo e prende a osservarle. Rimane in silenzio per qualche secondo, poi si alza in piedi e si avvicina all’armadio. Con l’indice della mano destra indica la foto di sua madre. La osserva e, mentre gli scivola una lacrima sul viso, riprende a parlare: «Mia madre non meritava un figlio stupido come me e oltretutto malato».

Walter è affetto da epatite C, una malattia infiammatoria del fegato provocata dal virus dell’HCV. Ha acquisito il virus a soli 19 anni. «E’ successo quando mi facevo» spiega chinando la testa e muovendo nervosamente le mani. L’epatite C viene trasmessa per via parenterale, cioè attraverso il contagio con il sangue. Le vie attuali di trasmissione sono la tossicodipendenza e la piccola chirurgia cosmetica. «Il  tossicodipendente acquisisce il virus attraverso lo scambio di siringhe durante le pratiche di introduzione endovenosa dell’eroina» spiega Bruno Cacopardo professore del reparto Malattie infettive dell’ospedale Ascoli Tomaselli. Anche l’uso promiscuo di oggetti taglienti o acuminati, contaminati da precedenti individui infettati, rappresentano un grande canale di trasmissione del virus. Come le attrezzature utilizzate per i piercing, i tatuaggi e la manicure estetica inadeguatamente sterilizzati o non sterilizzati. La diffusione del virus è avvenuta negli anni ’60 e ’70 attraverso due grandi canali di trasmissione: le trasfusioni di sangue e l’utilizzo di siringhe di vetro dopo disinfezione, mediante bollitura in acqua. Il virus è stato identificato solo nel 1990 con tecniche di biologia molecolare. Fino a questa data, l’epatite veniva chiamata “non A e non B” sulla base di criteri di esclusione. Il contagio attraverso trasfusioni avveniva perché le sacche di sangue donate non venivano sottoposte a nessun tipo di test.

Dal 1991 in poi, in concomitanza con la scoperta del virus, le sacche di sangue sono state sottoposte ai test obbligatori di “screening anti HCV”. Invece il contagio attraverso le siringhe di vetro è avvenuto fino alla fine degli anni settanta, periodo in cui si è avuto l’avvento delle siringhe monouso. «Anche il personale sanitario e parasanitario rientra nella categoria dei soggetti a rischio di contagio» spiega il professore «e non è raro che ciò avvenga». La malattia decorre in maniera “asintomatica”, cioè senza sintomi. «L’infezione avviene silenziosamente e dà solo disturbi vaghi e transitori». Si manifesta dapprima in forma “acuta”, poi “cronica” e infine si sviluppa in “cirrosi epatica”. Nel primo stadio il virus provoca l’infiammazione del fegato. Nel terzo stadio la morte del fegato “sintomatica” che può manifestarsi anche dopo molti anni. I ricercatori stanno sperimentando un vaccino contro il virus. Tuttavia la ricerca non è ancora giunta a risultati soddisfacenti a causa delle infinite capacità mimetiche dell’HCV. 

Esiste una cura basata su due farmaci: interferone e ribavarina. «Ho cominciato la cura circa tre mesi fa» rivela Walter «e da allora convivo quotidianamente con svariati malesseri fisici e con repentini cambiamenti di umore». Infatti la terapia, che può durare da sei mesi a un anno, non è scevra di effetti collaterali. «I farmaci provocano, nei pazienti che li assumono, conseguenze devastanti sia fisiche che psichiche da non sottovalutare: anemia, febbre, disturbi gastrointestinali, ansia, depressione. Proprio a causa di quest’ultima, in passato si sono verificati anche episodi di suicidio» illustra il professore Cacopardo. «Oggi per prevenire la depressione, i pazienti sotto nostra indicazione vengono assistiti da psicologi che somministrano loro farmaci antidepressivi». La cura non sempre consente di eliminare radicalmente il virus, ma permette una convivenza non dannosa con l’organismo che lo ospita.

Durante il quarantesimo congresso dell’European Association for the Study of the Liver, svoltosi nel 2005, è emerso che in Italia gli individui affetti sono 1.500.000 e di questi solo 25.000 sono in terapia. Mentre gli altri sono portatori inconsapevoli del virus. Nel Meridione, secondo quanto rivelato da uno studio effettuato nel 2003 dall’Università di Napoli, su 19.800 abitanti i portatori dell’HCV sono circa il 60%. «Al reparto Malattie infettive, il personale, sia ospedaliero che universitario, si occupa di circa duecento pazienti, ai quali ogni mese si aggiungono 20-30 nuovi casi» spiega ancora il medico dell’ospedale Ascoli Tomaselli. «Purtroppo i casi sono destinati ad aumentare se non si prenderanno delle precauzioni adeguate nell’uso di oggetti taglienti, aghi da piercing, apparecchiature da tatuaggio e siringhe».

E’ quasi sera. Il giallorosso del crepuscolo entra appena dalla finestrella marrone vestita solo di una tenda a fiori bianchi e rossi. Walter si siede sul letto. Volge lo sguardo in alto verso il soffitto niveo della camera. Rimane a fissarlo per qualche minuto. Tra le mani stringe un cuscinetto violaceo ornato di sottili nastrini azzurrognoli. Nel frattempo arriva la madre. La donna è molto bassa e piuttosto minuta. Indossa un grembiule talmente lungo che le arriva fin sotto le ginocchia. La porta della stanza è aperta. Lei non entra, ma resta ferma sul ciglio della porta. Walter non si rende conto di nulla. «Spero di vincere questa battaglia» esclama il ragazzo. Si alza dal letto e stringe alla vita il nodo della cintura della vestaglia. Poi guarda verso la porta e si accorge della madre. Le va subito incontro, la abbraccia teneramente e le dà un bacio in fronte. Le carezza lentamente il viso e le chiede: «Secondo te vinceremo mamma?». D’un tratto gli occhi della donna diventano lucidi e umidi di pianto. Tira fuori dalla tasca del grembiule un fazzolettino di carta e li asciuga rapidamente. Poi afferra la mano destra del figlio, la stringe fortissimo tra le sue mani e con tono rassicurante gli risponde: «Sì amore, ce la faremo anche stavolta».

Nelly Gennuso

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