Vulcano, la prima isola dell’arcipelago delle Eolie, produce meno eruzioni di quelle che ci si potrebbe aspettare, considerando le sue caratteristiche estremamente esplosive. È quanto si deduce da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Catania in collaborazione con l’Università della Calabria e dell’istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, appena pubblicato su Lithos, nota rivista di Scienze della Terra.
Il punto di partenza della ricerca è stata l’analisi storica della recente attività di Vulcano. L’ultima eruzione sull’isola è avvenuta nel biennio 1888-1890 al Gran cratere de La Fossa, l’attuale cratere principale di Vulcano, ed è stata dettagliatamente documentata dallo studioso Giuseppe Mercalli. L’eruzione precedente, nota come Colata delle Pietre Cotte, risale al 1739. Andando ancora indietro nel tempo, vi è stata l’eruzione di Vulcanello III del XVII secolo; l’eruzione di Commenda del 1250 circa; l’eruzione di Punte Nere e Palizzi, rispettivamente 1170 e 1230 circa; l’eruzione di Vulcanello I del periodo 1050-1220 circa.
Insomma nei suoi ultimi mille anni, Vulcano sembrerebbe aver dato luogo a poche eruzioni, intervallate da circa cento-duecento anni di quiescenza. Troppo poche secondo i ricercatori, soprattutto considerando che l’isola ha delle caratteristiche estremamente esplosive e, normalmente, le eruzioni associate a vulcani simili producono degli eventi molto catastrofici. Le scarse eruzioni di Vulcano, invece, non sono state particolarmente violente, quantomeno non al punto da giustificare tali periodi di silenzio. È noto, infatti, che le eruzioni altro non sono che il rilascio in superficie di un’enorme quantità di energia accumulata all’interno del sistema vulcanico a seguito di un disequilibrio termico. Quest’energia può essere rilasciata o a seguito di frequenti eventi eruttivi di bassa entità oppure con singole e sporadiche eruzioni estremamente violente.
Proprio questa contrapposizione tra i lunghi periodi di quiescenza di Vulcano e le sue eruzioni non particolarmente violente è stato il punto di partenza della ricerca coordinata da Marco Viccaro, docente di Geochimica e Vulcanologia all’Università di Catania. Lo studio ha utilizzato le informazioni fornite da alcuni cristalli contenuti all’interno delle lave eruttate da Vulcano nel corso degli ultimi mille anni. I cristalli, minuscoli frammenti solidi che si formano quando ancora il magma è all’interno del sistema vulcanico, sono noti per essere capaci di registrare, durante la loro crescita, alcune importanti informazioni, soprattutto riguardo al tempo che trascorrono all’interno della camera magmatica.
I risultati hanno rivelato che i tempi di stazionamento del magma nella profondità della crosta terrestre sono molto lunghi. «Il magma è confinato principalmente nelle zone più profonde del sistema vulcanico, intorno ai 20-25 chilometri e lì resta per la gran parte del tempo che intercorre tra un’eruzione e l’altra, per risalire verso la superficie solo pochi anni prima di una nuova eruzione» spiega a MeridioNews Viccaro che oltre a essere docente è anche il coordinatore del team di ricerca dell’università. «Potremmo considerare, quindi, Vulcano come un sistema relativamente vuoto: quando il magma comincia a salire dalle zone profonde, attiva dei livelli di magma residuale che si trova più in superficie ma che, da solo, non sarebbe in grado di innescare un’eruzione» continua il ricercatore. «Ciò vuol che il magma che alimenta un’eruzione è stato mobilitato in profondità soltanto un paio di anni prima. Si tratta di una novità assoluta riguardo alle conoscenze pregresse su Vulcano che potrebbe avere dei risvolti molto importanti per quanto riguarda il rischio vulcanico» aggiunge Viccaro.
Vulcano, infatti, è un’isola molto sorvegliata a causa del potenziale rischio a essa associato, tenendo presente che soprattutto in estate, l’isola è una gettonatissima meta turistica. Appare quindi evidente che la comprensione dei tempi che intercorrono tra i precursori (l’insieme di tutte le evidenze che annunciano la risalita del magma) e l’eruzione sono di fondamentale importanza per la valutazione e la mitigazione del rischio vulcanico. «È importante riuscire a capire, attraverso tutti i sistemi di monitoraggio, quando il magma effettivamente comincia a muoversi dai livelli profondi. Avere già una previsione di qualche anno significa poter fare tantissimo per la mitigazione del rischio» conclude l’autore dello studio.
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