C’è un clima di intimidazione e omertà intorno all’omicidio di Andrea Paternò, il cui corpo è stato trovato carbonizzato a luglio del 2020, ad Arcera, nelle campagne di Enna. Il cadavere era all’interno del cassone del proprio autocarro Mitsubishi L200, in un vecchio casolare abbandonato. Dopo più di un anno i carabinieri del nucleo investigativo di Enna hanno
eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip presso il Tribunale di Caltanissetta nei confronti di quattro soggetti indagati per omicidio
aggravato, distruzione di cadavere e incendio seguito da danneggiamento. Si tratta del 63enne pregiudicato F.D.M., il 24enne C.S.G.D.M., G.D.M. 36enne e G.S. 25 enne. Tutti allevatori di
Pietraperzia, in provincia di Enna.
L’analisi dei sistemi di videosorveglianza pubblici e privati e le intercettazioni hanno permesso di accertare
il movente del delitto in un pregresso credito di oltre 20mila euro vantato dalla vittima nei
confronti degli indagati. Un credito da cui sarebbe derivato l’ennesimo litigio tra Paternò e i
D.M. che si sarebbe concluso con l’uccisione e la distruzione del cadavere della
vittima cospargendone il corpo con liquido infiammabile e dandogli fuoco sotto alcune balle di fieno nel cassone del proprio pick-up.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, quel pomeriggio la
vittima sarebbe andata nell’azienda
agricola dei D.M., e precisamente da F.D.M., per reclamare la restituzione del credito,
venendo però convinto ad andare a prendere dei caffè in vista del successivo incontro con tutti i
soggetti interessati. Approfittando del momentaneo allontanamento, gli altri coindagati avrebbero raggiunto D.M.
e al ritorno di Paternò, avrebbero proceduto all’uccisione. Successivamente F.D.M. sarebbe andato in un distributore di carburante per prelevare un fusto di gasolio,
poi utilizzato per distruggere il corpo. Le indagini hanno inoltre fatto emergere che, tanto i soggetti indagati, quanto la vittima, non
fossero estranei a contatti con esponenti delle famiglia mafiose di Pietraperzia e Barrafranca e, più,
in generale con contesti mafiosi, anche di primo piano, della provincia di Enna. Si contesta infatti la circostanza aggravante dell’agevolazione delle attività mafiose,
sebbene non sia stata riconosciuta dal gip in sede cautelare.
In sede di indagini, gli inquirenti hanno riscontrato un clima di assoluto silenzio che avrebbe coinvolto anche il personale della forestale che si è occupato di domare l’incendio omettendo qualsiasi
segnalazione sulla presenza dell’automezzo incendiato e del cadavere. E le cui posizioni sono attualmente a vaglio dell’autorità giudiziaria. A carico di D.M.C.S. e D.M.G., inoltre, emerge un quadro indiziario relativamente ad alcuni incendi avvenuti a luglio in
aree agricole tra i Comuni di Enna e di Pietraperzia. Reati commessi – secondo gli inquirenti – per imporre
la propria pretesa di utilizzare le aree per i loro capi di bestiame, in sprezzo di
qualsiasi rispetto del diritto di proprietà. Questi ultimi reati, ancora una volta, sintomatici
della pretesa degli indagati di imporre il controllo sul territorio con modalità senza dubbio
assimilabili a quelle delle consorterie mafiose.
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