«Ogni mese distribuiamo circa 130-140 pacchi alimentari ma siamo consapevoli di non poter accontentare tutte le 300 famiglie che si rivolgono a noi». A La Tenda di Enna si avvicinano tutti: famiglie, migranti, padri rimasti soli. Perché sanno che non riceveranno domande, ma solo un po’ di quello che cercano. Sono circa le 9.30 del mattino. L’associazione, adiacente alla chiesetta di San Sebastiano, si trova in via Flora 47. «La Tenda – spiega il vicepresidente del centro Gaetano Andolina – provvede alla raccolta di abbigliamento, alla distribuzione degli alimenti e dispone di un centro d’ascolto per tutti coloro che sono in difficoltà». Davanti al cancello ci sono alcuni volontari intenti allo smistamento dell’abbigliamento. «Nei giorni scorsi abbiamo raccolto centinaia di vestiti donati dalle famiglie ennesi e li abbiamo distribuiti ai migranti del centro d’accoglienza di Pergusa, ai detenuti della locale casa circondariale e a quanti ne avevano bisogno», dicono.
Tanti coloro che arrivano al centro per chiedere generi alimentari di prima necessità anche nei giorni in cui non avviene la distribuzione. «Siamo convenzionati con il banco alimentare di Catania», racconta il responsabile. In molti parlano della loro disperazione. «Gli alimenti non bastano, noi facciamo quello che possiamo», sottolinea il vicepresidente che non nasconde l’amarezza di non poter soddisfare le richieste di tutti. I nuovi poveri sono artigiani, commercianti, operai che hanno perso il lavoro a causa di improvvisi licenziamenti legati spesso alla chiusura di attività commerciali e imprese. Intere famiglie, un tempo al sicuro, oggi sono costrette a rivolgersi a La Tenda per ricevere un aiuto. Alcuni parlano malvolentieri della loro situazione. Altri vivono nell’imbarazzo di aver perso tutto.
Al centro s’incontrano anche diverse comunità straniere. «A Enna abbiamo una media di oltre mille stranieri ben integrati e residenti sul territorio da anni», conferma Andolina. Eppure la lotta per la sopravvivenza rischia di tracimare in atteggiamenti intolleranti. Come quelli subiti da Naima, arrivata in Sicilia all’età di 22 anni. «Sono tunisina, originaria di Kairouan, la città dei tappetti. Dopo il matrimonio, io e mio marito, siamo arrivati qui. Abbiamo vissuto bene fino a quando lui non ha perso il lavoro». Naima ha 42 anni e tre figli di 20, 14 e 7 anni, vive in un alloggio malandato e dalle pareti ammuffite. Tutti coloro ai quali si rivolge per ottenere una nuova abitazione le rispondono che la priorità va data agli italiani. «Vivo qui da oltre 20 anni, possiedo la cittadinanza italiana, pago le tasse, tutti i miei figli sono nati qui eppure mi viene detto che prima bisogna aiutare gli italiani e poi gli stranieri», confessa con la voce rotta dal pianto. Alle incertezze economiche si uniscono i problemi di salute della donna che le impediscono di trovare un lavoro. «Ho subito nove interventi alla colonna vertebrale», dice. La giovane madre, attualmente, sopravvive grazie all’aiuto caritatevole dell’associazione e ai soldi che riesce a racimolare il marito.
Anche la storia di Latifa non è diversa dalle altre. Diciotto anni il prossimo aprile, si presenta al centro con una richiesta: un po’ di latte per il suo fratellino. «Vivo con mio padre, mia madre e mio fratello piccolo in una casa in affitto, ma i soldi non bastano. Prima non era così, ma quando mia madre, circa un anno e mezzo fa, è rimasta incinta e ha perso il lavoro sono iniziate le difficoltà», spiega. Oggi l’unico sostegno della famiglia è il poco denaro che il padre riesce a guadagnare. «Ma non ce la facciamo a pagare tutte le bollette», ammette. La situazione di povertà l’ha costretta ad abbandonare gli studi. «I libri erano costosi».
Tra le cause che spingono verso la soglia della povertà ci sono anche i divorzi, gli sfratti e la perdita della casa. Un fenomeno che sta assumendo contorni sempre più drammatici. Esemplare il caso di Sebastiano. «Ho iniziato a lavorare da giovanissimo. Avevo una moglie e una figlia, poi la crisi mi ha tolto tutto. Quando ho perso il lavoro sono caduto in depressione e sono iniziate le incomprensioni con mia moglie. Dopo il divorzio ho perso anche la casa e, se non avessi trovato aiuto qui a La Tenda, adesso dormirei per strada». Grazie all’associazione, Sebastiano vive in un alloggio che il Comune gli ha messo a disposizione e sopravvive con lavori saltuari. «Mi arrangio con quello che trovo, ma questa non è vita».
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