Energie rinnovabili per salvare isole da trivelle Trizzino: «Scelta c’è ma manca volontà politica»

Ribaltare radicalmente il sistema energetico che alimenta le piccole isole da un modello basato sui combustibili fossili, costoso e inquinante, a un modello totalmente verde e sostenibile. E’ la proposta ambiziosa di Greenpeace, che oggi ha presentato a Palazzo delle Aquile, a Palermo, il rapporto “100% rinnovabili: un nuovo futuro per le piccole isole” illustrando un percorso per portare le isole di Lampedusa, Pantelleria e Favignana a essere centro per cento rinnovabili nel giro di circa 20-25 anni. All’incontro hanno preso parte, tra gli altri, il responsabile della campagna Solarnia Greenpeace Italia, Luca Iacoboni, il presidente di Exalto Energy Gianni Silvestrini, l’assessore all’Urbanistica di Favignana, Lorenzo Ceraluo, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e il presidente della commissione Ambiente all’Ars, Giampiero Trizzino.

Un progetto la cui realizzazione dovrebbe costare circa 150 milioni di euro ma che consentirebbe ogni anno un risparmio di oltre 60 milioni di euro in bolletta. Tanto costa ai cittadini italiani, infatti, sovvenzionare ogni anno la produzione energetica di queste piccole isole. Una situazione «paradossale» per Greenpeace che isole ricche di sole e vento, si affidino ancora a vecchi e inquinanti generatori diesel. Il rapporto così ipotizza tre step: il primo promuove interventi di efficienza energetica, in ambito domestico e pubblico. Il secondo, invece, prevede il ricorso a fonti rinnovabili come l’eolico e sistemi di accumulo per stoccare quantità di energia prodotte da fonti alternative. Terza e ultima fase, aumentare la mobilità elettrica e, in alcune casi, creare parchi eolici offshore galleggianti. Per Pantelleria, in particolare, caratterizzata da un elevato potenziale geotermico, si potrebbe prevedere un impianto da 2,5 MW in grado di soddisfare in maniera continua circa la metà della domanda elettrica. 

Un percorso, tuttavia, che non può essere soltanto regionale ma deve ottenre anche la partecipazione del ministero dello Sviluppo economico, definendo obiettivi chiari sul lato dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. «Questa – dice Trizzino – è una battaglia che portiamo avanti da tre anni. Sgombriamo innanzitutto il campo dai preconcetti: l’energia elettrica prodotta da fonti fossili non costa meno, è falso. Anche la Commissione europea – sottolinea – ha detto che occorrono piani energetici eco-sostenibili: o adeguiamo il nostro sistema legislativo a queste prescrizioni o incorreremo in altre sanzioni. E spostandoci a livello regionale la situazione peggiora. In realtà c’è un blocco palese della classe politica, come si evince dal Pears, il Piano energetico regionale scaduto nel 2012. I tempi sono ormai maturi per aggiornarlo nell’ottica delle fonti rinnovabili – riflette – ma manca la volontà politica».

«Questa iniziativa – dice Orlando – parte dalla convinzione che la Sicilia non è un isola, ma un arcipelago che comprende anche le isole minori, in cui il ricorso alle energie rinnovabili non è solo una scelta ma una necessità per fronteggiare all’inquinamento ma anche per avere le risorse energetiche sufficienti in tutte le isole. La nostra risposta all’appello di Greenpeace –  conclude – è quello di attrezzarsi in maniera adeguata per potere realizzare un piano di fonti rinnovabili di energia che possa essere adeguato a una città come Palermo».

Ma l’incontro di oggi è stata anche l’occasione per parlare della delicata questione delle trivellazioni offshore di Eni ed Edison a poca distanza dalle costa della Sicilia. Il progetto prevede 8 pozzi, di cui due esplorativi, una piattaforma e vari gasdotti al largo della costa delle province di Caltanissetta, Agrigento e Ragusa. «Voglio ricordare –  aggiunge Orlando – che l’intero sistema dei Comuni siciliani si è opposta alla folle corsa alle trivellazioni basandosi sul principio che lega strettamente la Carta di Palermo, e quindi la Sicilia come terra di accoglienza e il no alle trivellazioni». Secondo Trizzino, infine, se «noi privilegiamo le trivellazioni offshore è ovvio che non cambierà nulla da qui a prossimi a vent’anni del nostro sistema energetico. Abbiamo fatto ricorso – conclude – perché questa cosa è inaccettabile».

Antonio Mercurio

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