En plein 2, il boss dei Laudani comandava dal carcere I carabinieri arrestano 19 persone, 2 sono incensurate

Il gruppo di Paternò della cosca Laudani colpito al cuore da carabinieri e procura della Repubblica, in un operazione – denominata En plein 2 – che ha coinvolto 200 militari. In carcere vanno in 19: secondo gli investigatori sarebbero dirigenti, quadri e paranza del clan nel territorio paternese, guidati – anche dal carcere – da Salvatore Rapisarda e da Vincenzo Morabito, detto Enzo Lima. Le accuse, a vario titolo – detto della presunta appartenenza ai Laudani -, sono associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di stupefacenti, tentata rapina, porto e detenzione illegale di armi, con l’aggravante del metodo mafioso. Il materiale d’indagine è stato racimolato a partire dal maggio 2015, data in cui venne data esecuzione all’inchiesta En plein, che disarticolò due gruppi mafiosi paternesi contrapposti: gli stessi Laudani e il clan Assinnata, articolazione dei Santapaola allora guidata da Salvatore Leanza. Quel montante piazzato dalla magistratura permise di risalire agli autori dell’omicidio di Leanza, che era soprannominato Turi paredda, avvenuto in città il 27 giugno 2014, e il tentato omicidio di Antonino ‘u sciallarese Giamblanco, verificatosi a Motta Sant’Anastasia un mese dopo, il 30 luglio dello stesso anno. 

Due casi di nera per i quali, sulla base delle dichiarazioni convergenti dei pentiti Franco Musumarra e Orazio Farina, il gip di Catania ha adottato un provvedimento di cattura per sei persone nello scorso maggio. L’inchiesta En plein 2, strettamente collegata alla prima, si concentra soprattutto sull’organico e sul funzionamento interno del clan mafioso Laudani, a cui carabinieri e pm hanno tenuto gli occhi e le orecchie addosso per tre anni. Le indagini avrebbero fatto emergere la longevità della figura di Salvatore Rapisarda, che avrebbe continuato a governare il clan nonostante si trovi dietro le sbarre da qualche anno. Per farlo, si sarebbe avvalso del sostegno del fedelissimo Alessandro Giuseppe Farina, anche lui detenuto. 

A far circolare le informazioni all’esterno sarebbero stati i parenti di quest’ultimo: la moglie incensurata Vanessa Mazzaglia, il suocero Antonino Mazzaglia e il nipote Emanuele Lucio Farina. Il ragazzo (figlio di un altro arrestato, Angioletto Farina, e coinvolto insieme a Samuele Cannavò in una tentata rapina a mano armata, non riuscita, a un distributore di benzina paternese avvenuta il 30 dicembre 2017) avrebbe ricevuto l’affiliazione al gruppo con il solenne bacio in bocca di Rapisarda

Il proconsole all’aria aperta di Rapisarda sarebbe stato però suo nipote Vincenzo Marano, altro incensurato, conosciuto nell’ambiente come Enzo ‘u squalu. Sarebbe stato lui a gestire le piazze di spaccio di Paternò, Santa Maria di Licodia (con l’aiuto di Vanessa e Antonino Mazzaglia) e Belpasso (qui con il sostegno di Biagio e Salvatore Sambataro), in cui circolano sia marijuana che cocaina. Marano avrebbe controllato inoltre la cassa comune del clan e avrebbe versato la pensione ai parenti dei detenuti. L’indagine fotografa anche l’inserimento nella struttura della famiglia di nuove leve, ragazzi giovanissimi attratti – come ha sottolineato in conferenza stampa il procuratore della Repubblica Carmelo Zuccaro – dalla prospettiva di fare soldi facili. A innaffiare di droga i tre mercati della zona sarebbero stati i fratelli calabresi Domenico e Salvatore Morabito, narcotrafficanti non inseriti nell’organico dei Laudani. Gli arrestati si trovano adesso nelle carceri di Catania, Messina e Prato, in attesa dell’interrogatorio di garanzia. 

Salvatore Caruso

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