Dalle campagne alle città siciliane. Dopo anni trascorsi accanto ai migranti impegnati nelle raccolte stagionali, Emergency apre anche a Catania, Messina e Ragusa. Nel capoluogo etneo dal 29 ottobre è attivo uno sportello di orientamento sociosanitario aperto a tutti gli immigrati che hanno difficoltà a rapportarsi con il nostro sistema sanitario nazionale. Un punto di riferimento dove non si svolge attività medica, a differenza dei poliambulatori mobili presenti nel Siracusano, ma si aiutano i migranti ad inserirsi, a conoscere le giuste prassi, si accompagnano nelle complicate pratiche amministrative della burocrazia italiana, così come nelle visite mediche e durante la terapia da seguire. Ma sono previsti anche corsi di formazione per i dipendenti dell’Azienda sanitaria provinciale, che spesso non conoscono a sufficienza le norme in vigore. «Per farci conoscere, da due mesi battiamo la città strada per strada, entrando nelle attività commerciali gestite dagli stranieri, nelle macellerie, nei food store e negli internet point e visitando i loro luoghi di incontro», spiega Serena Catella, una delle due mediatrici culturali che, insieme ad un infermiere, compongono il team di Emergency a Catania. Il risultato è una mappatura della città in continuo aggiornamento.
Lo sportello è ospitato in due stanze messe a disposizione dall’Asp in via Sardo, accanto all’ospedale Vittorio Emanuele, ed è finanziato dal Fondo europeo per l’immigrazione (Fei). Durerà fino al giugno del 2014. «Durante l’attività degli ultimi anni nelle campagne del Sud Italia – afferma Michele Iacoviello, lucano di 35 anni, responsabile dei poli ambulatori mobili e coordinatore del nuovo progetto – abbiamo visto che la maggior parte dei migranti che veniva da noi era in possesso del permesso di soggiorno, ma non aveva la minima idea dei diritti e delle giuste prassi mediche. A Castelvolturno, ad esempio, ho incontrato un nigeriano, in Italia da 25 anni, che non voleva sottoporsi alle analisi, perché era convinto che gli rubassero il sangue». Da qui l’esigenza di aprire gli sportelli di orientamento, rivolti principalmente, ma non soltanto, ai migranti regolari. «Abbiamo scelto la Sicilia perché qui la necessità è più forte – continua Iacoviello – è un percorso difficile perché all’inizio non si fidano. Noi puntiamo a un’educazione sanitaria, spieghiamo quali sono le malattie patologiche legate a situazioni di scarso igiene, ma il lavoro più complicato è quello di tipo amministrativo».
Gli stranieri regolari hanno diritto ad essere curati dal sistema sanitario nazionale. Per farlo basta il codice fiscale, per cui sono necessari la residenza o un semplice certificato di effettiva dimora. «Tuttavia – sottolinea il referente di Emergency – spesso i dipendenti degli enti pubblici, tra cui l’Asp, non conoscono le leggi e chiedono obbligatoriamente un indirizzo di residenza. Ma gli immigrati vivono in affitto, spesso con contratti in nero. Così come i richiedenti asilo non hanno ancora il permesso di soggiorno, ma hanno diritto all’iscrizione nel sistema sanitario». Mancanza di informazioni e di comunicazione che fa diffidare e allontanare gli immigrati. «Scatta un circolo vizioso e finiscono per curarsi in modo sbagliato, seguendo canali paralleli a quelli ufficiali. Per colmare questa mancanza verranno organizzati dei corsi per i dipendenti Asp», aggiunge Iacoviello.
Hanno scelto il passaparola per farsi conoscere tra le comunità straniere. Il team di Emergency è andato casa per casa. Dalla zona di piazza Carlo Alberto, dove vivono cinesi e senegalesi, a San Berillo con i nordafricani, passando per via Garibaldi e via Vittorio Emanuele, costellate delle attività commerciali dei bengalesi, e gli alimentari nella zona di piazza teatro Massimo gestite dai cingalesi. «I cinesi si confermano più chiusi – spiega Serena Catella – è difficile capirne anche la gestualità perché è diversa. Loro ad esempio non ti guardano mente gli parli, ma questo non significa che non ti stiano ascoltando. Tuttavia giocano un ruolo determinante i figli di seconda generazione, sono i bambini spesso ad aiutare i genitori nell’integrazione culturale». Al punto che non mancano i casi di piccole con gli occhi a mandorla a cui è stato messo il nome di Agata. Mentre sono diversi i commercianti cinesi che danno lavoro a commesse italiane. Un rapporto fatto più di gesti che di parole. «Le varie comunità si innestano sulla base commerciale già esistente e la città si trasforma in base alla gente che la vive», analizza Iacoviello. «Catania – conclude Catella – ha una buona base di integrazione, perché c’è un rapporto diretto tra le persone che condividono spesso la quotidianità in strada. Così i catanesi tendono a vivere una realtà sdoppiata: quella che raccontano i media e quella che constatano ogni giorno sulla porta di casa».
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