«Copiare online è una pratica facile, così facile che non si resiste alla tentazione. E, per chi ha una minima conoscenza digitale, è facile anche scoprire chi copia. La cosa più difficile è riuscire a far capire la differenza tra il copiare senza citare la fonte – appropriandosi di idee e concetti – e il citare, che è una pratica lecita e legale, anzi auspicabile».
Gino Roncaglia, docente di Informatica Umanistica presso l’Università della Tuscia di Viterbo, autore di numerosi testi sui nuovi media (tra i quali “Il mondo digitale”, “Internet. Manuale di uso della rete” e il recente “La quarta rivoluzione- Sei lezioni sul futuro del libro”), intervistato da Stefania Tringali durante il programma “Aria fritta” di Radio Zammù, parte da qui: da una distinzione che in linea di principio dovrebbe essere semplice, quella tra citazione e plagio. Ma che invece – a giudicare dal dibattito di questi giorni sulle pagine di Step1 – risulta spesso tutt’altro che chiara.
Professore, qual è la differenza tra copiare o plagiare – per usare un sinonimo appropriato – e citare? Qual è il confine tra plagio e ricerca? Basta una citazione nella bibliografia per scongiurare il plagio?
«La differenza fondamentale è che, nel caso del plagio, cioè la copiatura con colpa, ci si appropria di un testo scritto da altri facendo finta di averlo scritto noi. Questo è, ovviamente, innanzitutto illegale. Ma è soprattutto una pessima prova di capacità di gestione critica delle informazioni, diversamente da quello che dovrebbe insegnare l’università. Inoltre, si impedisce al lettore di approfondire la fonte originale, perché lo induciamo a credere che quel testo, quel pensiero, sia nostro».
Come reagisce quando scopre uno studente copione?
«Quando scopro che uno studente ha copiato gli dico che ha sbagliato le proporzioni. Spesso l’80% del lavoro è copiato, il resto no. Innanzitutto, gli dico di invertire le proporzioni. Però, nel caso citi tutte le fonti, non gli dico che sta facendo qualcosa di immorale, ma che deve riscrivere la tesi per sistemare le proporzioni. Viceversa, se copia senza neanche citare le fonti, seguendo il regolamento d’Ateneo, la sua tesi viene consegnata in Presidenza, lo studente non si laurea in quella sessione, e parte, inoltre, con tre punti in meno nella discussione della tesi. Nei casi reiterati si arriva alla denuncia».
Quanto incide il “potere del link” nell’odierno dilagare di questo fenomeno?
«Molto. È semplice trovare su internet testi da copiare. Ed è importante far capire allo studente che lo stesso potere può essere controproducente. Il plagio è perseguibile in tribunale. Quindi, nel caso in cui il docente non si accorga del plagio e in futuro sia l’autore stesso ad accorgersi di esser stato plagiato, lo studente rischia di perdere il suo titolo di studio. Non solo: se con quel titolo ha vinto un concorso, perde anche il posto di lavoro e rischia di dover restituire tutto quanto ha guadagnato alla Stato».
Il 3+2 potrebbe essere una causa di questo fenomeno? In fondo la laurea triennale è spesso vissuta come un passaggio: non si vuole perdere tempo per un traguardo intermedio, quindi si lavora in maniera più pigra e distratta…
«Sicuramente il 3+2 ha spezzato quello che doveva essere un percorso unico. Ma non credo sia la causa principale di questo fenomeno. Si riscontrano casi di copiatura sia per tesi di triennale che di specialistica. E purtroppo anche per i dottorati di ricerca».
A che possiamo attribuire allora la responsabilità? Agli studenti, ormai figli del web abituati ad accedere a qualunque testo a portata di click? All’università e ancora prima alla scuola, accusate di non essere più in grado di insegnare l’arte del pensare critico e della scrittura? Ai docenti, spesso distratti?
«Io sono convinto che ci siano due tipi di responsabilità. Una è legata a noi formatori, che evidentemente non dedichiamo particolare tempo e attenzione a far capire come da un lato sia importantissimo selezionare le fonti e dall’altro usarle correttamente. Noi non chiediamo che lo studente non usi l’enciclopedia o gli articoli che trova in rete. Noi chiediamo che li usi dove è rilevante usarli, inserendo e usando le virgolette. Spesso lo studente nemmeno si accorge di copiare, ha trovato una fonte che funziona e la utilizza così, senza sentire il bisogno di identificarla con le virgolette. Quando succede, la colpa è anche nostra. Sicuramente, la colpa maggiore è dello sviluppo della tecnologia. Si copiava anche un tempo, nonostante bisognasse trascrivere parola per parola, mentre adesso basta un semplice click».
C’è chi propone, tra i commenti di Step1, la tesi facoltativa, perché in fondo si viene giudicati da una commissione che legge solo indice, note e bibliografia. Lei è d’accordo?
«Il discorso è abbastanza complicato. Personalmente sono abbastanza favorevole alle tesi, per un motivo: è importante che lo studente si abitui alla forma di scrittura lunga, complessa ed argomentativa. Se noi aboliamo la tesi di laurea, la capacità di scrivere non la sviluppiamo più. Questo sarebbe un grave problema. Al contrario sarei disponibile a cominciare a lavorare prima della tesi sulla scrittura argomentativa, attraverso diversi strumenti come relazioni scritte o l’utilizzo di manuali di scrittura non creativa. È vero che spesso alcuni professori non leggono le tesi o lo fanno distrattamente perché hanno molti studenti da seguire, ma sono convinto che si possa risolvere questo problema solo lavorando di più tutti quanti, sia gli studenti che i docenti».
L’immagine di una università piena di copioni sembra in contrasto con le lotte che stanno spingendo migliaia di studenti italiani ad occupare i più importanti monumenti storici del nostro paese…
«Sì, perché protestare è in genere un indice positivo, cioè vuol dire che c’è qualcosa che noi abbiamo capito e non ci sta bene. Questo implica che lo studente abbia ragionato, sviluppando la capacità di riconoscere e attribuire correttamente le posizioni a ognuno. Inoltre protestare vuol dire proporre dei modelli migliori di quelli che ci troviamo davanti. E questo richiede capacità e consapevolezza critica».
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