Elezioni UniCt, il prof Barbagallo ritorna in campo «Concorsi truccati? Non demonizziamo l’ateneo»

«Ho fatto un’esperienza significativa da dirigente alla Regione Siciliana. E quella mi ha insegnato moltissimo». In positivo o in negativo? «Non saprei. Di certo ho capito che se in un’istituzione non si guarda tutti verso lo stesso obiettivo non si va da nessuna parte. La burocrazia regionale in questo è maestra». Salvatore Barbagallo, dal 2002 al 2008 preside dell’allora facoltà di Agraria e attualmente ordinario di Idraulica sempre all’università di Catania, prima di ritentare la strada che porta verso il Palazzo centrale, ha avuto bisogno di riflettere. Infatti ha aspettato qualche giorno prima di ufficializzare la sua candidatura, sfidando i colleghi Francesco PrioloRoberto PurrelloVittorio CalabreseAgatino Cariola. «Mi sono candidato a rettore anche nel 2006, sfidando colui che poi ha vinto: il professore Antonino Recca – ricorda Barbagallo – Non ce l’ho fatta e non ci ho pensato più».

Le cose quando sono cambiate?
«La conclusione anticipata del mandato del professore Francesco Basile mi ha spinto a riflettere e la candidatura mi sembra coerente con il mio percorso professionale. Oltre che dirigente regionale, sono stato anche al nucleo di valutazione dell’ateneo, dove ho imparato molte cose. In questo momento di difficoltà per l’università di Catania, voglio proporre le mie competenze».

Il momento è difficile, certo, e l’ateneo è un campo minato. Qualunque cosa si dica, si rischia di sbagliare.
«Molti noi docenti, io incluso, hanno letto quello che è successo dai giornali. Io penso che per esprimersi bisogna aspettare i tribunali. Non è nostro compito essere giudici dei nostri colleghi, ma l’inchiesta della magistratura è servita a rendere chiaro a tutti che il meccanismo dei concorsi va cambiato».

In che modo?
«Dobbiamo partire da un punto: un docente, a maggior ragione se universitario, ha per compito quello di formare dei giovani. Alcuni di noi lo fanno da decenni, con modi di pensare, metodologie e professionalità che costituiscono delle vere e proprie scuole accademiche».

Se ne parla tanto, per lo più sottovoce. È il concetto del maestro che trasmette il suo sapere, no?
«Chi vuole continuare delle scuole deve poterlo fare, perché è quella pluralità il valore dell’università. Ma è chiaro che bisogna trovare dei meccanismi affinché non ci siano delle irregolarità. La carriera va fatta solo ed esclusivamente per merito. Ma di fronte a lauree, dottorati, post dottorati… Chi saprebbe definire con certezza se uno ha più merito di qualcun altro? L’università di Catania non va demonizzata. A sentenze emesse, vedremo qual è la reale percentuale degli abusi. Invito inoltre a fare un altro ragionamento: guardiamo alle altre università d’Italia, guardiamo quanti sono i concorsi vinti da chi viene da altri atenei. Se un giovane ha lavorato per anni sulla scia di un docente, ha appreso ed è capace di perpetrare una scuola, è quasi naturale che vada a ricoprire ruoli accademici. Sarebbe sorprendente che qualcuno da fuori riesca a garantire lo stesso livello di competenza e approfondimento su quella specifica materia di studio. Certo, è un caso che può capitare e bisogna garantire al merito la possibilità di andare avanti, però non possiamo partire dal presupposto, errato, che chi viene dalla stessa scuola sia automaticamente meno meritevole di altri».

È come dire che il sistema è così e basta?
«No, è come dire che bisogna dire le cose come stanno e affidare ai dipartimenti la responsabilità della cooptazione diretta dei nuovi docenti. Chi seleziona bene va avanti con la sua ricerca, ottiene risultati e fondi. Chi seleziona male diventa sempre più scadente. E questo si riflette sull’intero ateneo, che quindi va a poco a poco a morire».

Come si fa a definire un corso di studi, un dipartimento o un ateneo «scadente»? A chi spetta questa valutazione?
«I criteri valutativi della qualità sono già fissati. La sigla Vqr, a cui devono sottoporsi tutti, significa esattamente questo. Poi, mi permetta: i nuovi immessi in ruolo sono veramente eccellenti, molto più di tante persone entrate all’università nel passato. I giovani sono operativi, producono».

Ma ci sono tanti cognomi eccellenti. Dobbiamo credere davvero che fossero tutti i migliori candidati sulla piazza?
«Di nuovo: a sentenze fatte, vedremo le percentuali degli abusi rispetto alle procedure regolari».

Servirà questa percentuale a ridare prestigio all’università di Catania?
«L’immagine dell’ateneo da ripristinare a livello nazionale deve essere il primo impegno del nuovo rettore. Ci si riesce ripartendo dalla trasparenza. Poi bisogna lavorare sul resto: dimostrare all’Anvur che siamo una sede universitaria meritevole, che migliora col tempo, che riesce a fare laureare i giovani nei tempi stabiliti e che li fa uscire dal percorso di studi con una professionalità già avviata. In questo senso bisogna lavorare anche sulle lauree specialistiche: perdiamo moltissimi giovani dopo le triennali, perché non siamo in grado di proporre un livello ulteriore che risulti accattivante. Questo va migliorato».

Quando lei si candidò la prima volta, nel 2006, sfidava Tony Recca. Possiamo dire che venga dalla stessa area (quella degli anti-recchiani) da cui venivano l’ex rettore Giacomo Pignataro e, dopo, con i dovuti distinguo, l’ex rettore Francesco Basile?
«Io non mi associo a nessuna area, e basta guardare il fatto che non ho avuto ruoli gestionali. Certo, sono al nucleo di valutazione, ma è un organismo indipendente. È chiaro che le attività amministrative intraprese da Basile debbano essere portate a compimento, ma è altrettanto chiaro che stiamo andando a eleggere un rettore: ci aspettiamo forse che non abbia una sua individualità?».

Lo statuto dell’ateneo va cambiato?
«Lo statuto va continuamente adeguato a norme e tempi. A mio avviso, bisogna rivedere la nomina del consiglio di amministrazione. Il nuovo rettore dovrà porsi questo problema».

Se dopo il primo turno di votazioni, il 23 agosto, dovesse essere evidente che non sarà lei il nuovo Magnifico? Che farà? Si ritirerà dalla corsa?
«Non mi auguro certo di essere fuori dalla partita, altrimenti perché lo farei? Siamo cinque candidati, però. A poco a poco il quadro si dovrà semplificare».

Luisa Santangelo

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