Elezioni, Michela Giuffrida dalla tv al Pd «C’è chi ha paura della mia candidatura»

Per lei è in qualche modo un ritorno alle origini: abbandonare la scrivania e ributtarsi in mezzo alla gente. «Sono tornata a incontrare le persone, è la cosa che mi dà più gioia». Michela Giuffrida, direttrice del tg di Antenna Sicilia, da cui si è presa una pausa, è una dei candidati catanesi nella lista del Pd alle prossime elezioni europee del 25 maggio. Entra in quota Articolo 4 – movimento guidato dall’ex autonomista Lino Leanza che sostiene il governo regionale di Rosario Crocetta – anche se lei rivendica il carattere libero e indipendente della sua figura. In questi giorni sta girando la Sicilia. «Un bagno di folla», dice. Si porta dietro «la presunzione di conoscere meglio di chiunque altro i problemi di questa terra». Ma anche un passato da prima donna nell’impero mediatico, e non solo, di Mario Ciancio. Di cui dice: «Con lui ho un rapporto di grande stima, mi ha sempre lasciata libera».

Come sta andando quest’inizio di campagna elettorale?
E’ un tour a tappe forzate. Cominciamo prestissimo la mattina e finiamo tardi la sera. Tornare ad incontrare le persone è la cosa che mi dà più adrenalina e gioia. In questi giorni siamo a Siracusa e provincia, i luoghi delle mie estati. E’ stato un bagno di folla. Le persone mi manifestano la loro stima, sono sempre stata vicina alla moltitudine che ha bisogno di avere una voce.

Da questo punto di vista, il fatto di essere stata per tanti anni in televisione aiuta.
Non credo. Non è la tv che mi ha aiutato, almeno non ritengo di ricevere un aiuto dal mezzo. E’ vero, è uno strumento fortissimo che dà l’opportunità alla gente di apprezzare chi sei, grazie ad una percentuale di penetrazione che non ha pari. Ma può essere un’arma a doppio taglio, perché ti mette a nudo e la gente lo capisce. Ma io rivendico tutte le mie scelte, non è un segreto che la mia passione vera è sempre stata la politica.

Venendo ai temi delle elezioni, si confronta con un’Europa che viene percepita molto lontana. Quant’è difficile convincere i siciliani dell’importanza delle istituzioni europee?
E’ difficilissmo. Ci sono persone semplici che non hanno la più pallida idea delle prerogative europee. Oggi viviamo una nuova costituente dell’Europa e questo voto diventa un referendum tra europeisti e anti europeisti. La lista del Pd si contrappone a chi gioca sulla mancanza d’informazione, soprattutto dei ceti bassi, dicendo di voler mandare al rogo l’euro. Sono profondamente convinta che le tecniche populiste ci riportano indietro e ci allontanano dalla nostra unica speranza, per esempio per accedere ai fondi. Bruxelles resta l’unico posto non immaginario che ancora oggi offre un’opportunità per ripartire.

Però molti fondi europei sono piovuti sulla Sicilia e la classe politica non è stata in grado di usarli in modo efficace e onesto.
Sono stati colpevolmente dispersi. Ed è questo uno dei motivi del disimpegno e della disaffezione anche delle fasce più alte della popolazione.

In questa sorta di indifferenza, quanto pesa il fatto che molti siciliani legano il voto a interessi localistici e di signorìa?
C’entra, soprattutto nella misura in cui qualcuno cerca di deviare questa competizione su un altro referendum, che è quello pro o contro il governo regionale. L’obiettivo è anni luce lontano da Palermo, ma anche vicinissimo: abbiamo l’opportunità di mandare i migliori di noi in una sede decisionale che può fare molto per la Sicilia. Io conosco meglio di chiunque altro i problemi dell’Isola, più dei politici di professione, perché non c’è osservatorio migliore di quello giornalistico. Un mestiere di cui vado orgogliosa.

A proposito di giornalismo, quanto è lontana l’informazione catanese da quella europea?
Siamo carenti, non c’è dubbio. Prendiamo proprio il caso delle elezioni: molte persone non conoscono neanche la data del voto. Quanti sanno che si possono esprimere fino a tre preferenze e una di queste deve essere per una donna? E in questo caso parliamo di informazione istituzionale. In generale abbiamo una bella concentrazione di televisioni che però si dibattono ogni giorno tra mille problemi, soprattutto economici. Siamo l’unica regione a non aver varato le provvidenze per il passaggio al digitale. La tv è un’azienda, poi tocca ai giornalsiti rendere nobile il proprio lavoro, rimanendo super partes ed essendo garanzia di libertà e trasparenza.

Non crede che, se non dovesse farcela e dovesse tornare a fare la giornalista, il suo ruolo di super partes sarebbe ormai compromesso?
Assolutamente no. Cito tre nomi di autorevoli colleghi che hanno fatto lo stesso percorso: Lilli Gruber è la più famosa. E’ stata europarlamentare e oggi ha il programma di punta dell’informazione politica di La7. Qualcuno le ha mai contestato la candidatura nel Pd? Ma anche Michele Santoro e David Sassoli hanno fatto un percorso di andata e ritorno.

Ha definito la tv un’azienda. La scelta di scendere in politica è in qualche modo dettata dalla volontà di lasciare un’azienda, quella della famiglia Ciancio, che si trova in difficoltà per diversi motivi?
Assolutamente no, la candidatura mi è stata offerta. Sono stata contattata da Lorenzo Guerini, il numero due del Pd, quando mancavano 18 ore alla consegna delle liste. Non sono mai stata iscritta a nessun partito, ma ho accettato questa candidatura in modo convinto.

Eppure si dice che abbia presentato domanda per partecipare al concorso per giornalisti Rai…
Falso. Non ho presentato alcuna domanda, che tra l’altro scadeva il 24 aprile, e non sono in cerca di un’occupazione. Quando sento una voce del genere, sorrido. Sono una persona limpida, chi vuole tirarmi in ballo in questi discorsi lo fa per delegittimarmi.

Il suo editore, Mario Ciancio, come l’ha presa?
Mi ha lasciata libera di decidere, così com’è sempre stato fino ad oggi. Abbiamo un rapporto di grande stima e mi assumo la responsabilità di tutto quello che ho fatto. Ma questa è stata una decisione personale. D’altronde chi mi conosce sa che non accetto consigli che non mi convincano, nessuno poteva influenzarmi.

Tornando all’Europa, c’è una battaglia in particolare che porterà a Bruxelles?
Bisogna ripartire da quello che siamo e dalle nostre radici: la nostra terra è un patrimonio di beni culturali, architettonici e storici; abbiamo eccellenze nell’agricoltura e nella pesca, abbiamo vino, olio, grano. Le nostre peculiarità non hanno eguali. La Sicilia è la regione con più siti Unesco, ma anche con più musei chiusi e quella da cui negli ultimi tre anni sono andati via 45mila giovani. Basta dire che abbiamo soltanto sole, mare e spiagge, perché quelli ci sono anche in Nord Africa. Lì non hanno il nostro patrimonio.

Cosa fare in Europa per valorizzare questo patrimonio?
Penso all’agricoltura e alle decine di misure utili per portare fondi. Per i beni culturali non ne parliamo.

Da giornalista si è occupata del Muos, l’impianto militare di antenne satellitari che la marina Usa ha costruito a Niscemi. Recentemente è stata anche alle isole Hawaii per una visita, guidata dal governo americano, a uno dei siti Muos già in funzione. Che idea si è fatta in proposito? Quel viaggio le ha fatto cambiare opinione?
Il movimento No Muos costituisce una delle battaglie che ho condotto da giornalista. Negli Stati Uniti non è stata una vacanza o un viaggio di piacere, ma un’esperienza con uno stress non indifferente. Sono andata a verificare di persona, come ogni giornalista dovrebbe fare. Il mio punto di vista è sempre quello del cronista: ho raccontato questa vicenda partecipando alle manifestazioni, ma anche andando nei luoghi in cui le parabole già funzionano. La mia idea in merito non è cambiata ed è quella che la gente merita delle risposte chiare.

Perché, lei che lavora con le parole, ha scelto di non inserire slogan sui manifesti?
Perché credo che gli slogan siano l’opposto di quello che bisogna fare. La gente è stanca. Ci troviamo a combattere contro due nemici temibili: l’astensionismo e chi soffia sui sentimenti di rabbia delle persone. Abbiamo il dovere civico di riportare la gente a votare, dare la speranza di credere nelle persone a prescindere dagli schieramenti. Buttare il voto per vendicarsi è la cosa peggiore che si possa fare. Cosa avrei dovuto dire sui manifesti? Più Sicilia in Europa? No, io credo nelle storie personali.

Per finire, è vero che lei è stata scelta al posto del leader di Articolo 4 Lino Leanza, perché lui ha paura di prendere l’aereo?
Non devo dire grazie a nessuno. Rispondo con un’affermazione secca: c’è chi ha paura della mia candidatura.

Salvo Catalano

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