Elezioni: la rimonta del Cavaliere? Colpa di Pd e Sel

I sondaggi sulle elezioni politiche del prossimo 24 febbraio di questi ultimi giorni danno Berlusconi in netto recupero. La tesi sembra unanime: tutto sarebbe legato alla grande capacità di comunicazione del Cavaliere. A noi questa tesi convince poco. Ora proveremo a spiegare il perché.

Nessuno mette in dubbio le qualità mediatiche di Berlusconi. Ma non possono essere taciuti gli errori commessi dal Pd e da Sel di Vendola. Vediamoli per grandi linee.

Cominciamo con il Pd che, in barba al nome che porta, è tutto, tranne che un Partito democratico. Lo ha dimostrato proprio qui in Sicilia, imponendo con la forza, nei quattro anni passati, l’alleanza innaturale con il Governo regionale di Raffaele Lombardo (da qui la perdita, alle elezioni regionali dello scorso ottobre di circa 200 mila voti). E lo sta dimostrando ancora in queste ultime settimane, con la presentazione delle liste.

Che succede? Semplice: invece di valorizzare le realtà politiche territoriali, i vertici del Pd stanno provando a tutelare non soltanto i ‘capi’ dello stesso Partito (in alcuni casi ormai senza consenso popolare alle spalle), ma anche gli amici e i sodali degli stessi ‘capi’. Sotto questo profilo, quello che sta succedendo in Sicilia è emblematico.

Con la scusa che, in caso di vittoria, tra Camera e Senato saranno disponibili 32 seggi, il Pd romano ha preteso otto posti in lista per otto ‘paracadutati’ dalla Capitale. Naturalmente, gli otto candidati che con la Sicilia hanno poco o nulla a che vedere (a parte qualche siciliano che lavora da anni lontano dalla nostra Isola e che torna solo per arraffare il seggio) si sono presi i primi posti.

Il particolare non è secondario. Questo significa, infatti, che gli otto ‘paracadutati’ da Roma verranno eletti sia in caso di vittoria del centrosinistra, sia in caso di sconfitta. E siccome, in Sicilia, non è affatto detto che vinca il centrosinistra, il ‘furto’ di otto seggi è ancora più grave, politicamente e culturalmente.

Non è la prima volta che il Pd romano si prende i seggi parlamentari che spettano al Pd siciliano. L’ultima volta, nel 2008, i romani si sono presi 6 seggi. Sei ‘ascari’ che sono stati eletti con i voti dei siciliani e che hanno utilizzato i seggi siciliani per fare gli interessi di altre regioni italiane. Per non parlare di quelli che, in quattro anni, sono andati in Parlamento un giorno mai e l’altro nemmeno, non avendo mai presentato, durane la legislatura, un solo atto parlamentare.

Insomma, parlamentari di altre regioni italiane, eletti con i voti dei siciliani, che a Montecitorio o a Palazzo Madama vanno a fare “Panza e presenza”.

Adesso, da sei, gli ‘ascari’ sono diventati otto. La cosa è odiosa. E, soprattutto, non riguarda solo il Pd dell’Isola, ma tutta la politica siciliana. Perché i parlamentari nazionali, a prescindere dall’appartenenza politica, fanno gli interessi del proprio territorio. Privare, come fa il Pd, un territorio – in questo caso la Sicilia – di otto parlamentari per accontentare gli amici, i sodali e le mogli dei ‘gerarchi’ romani, lo ripetiamo, odioso. 

I ‘paracadutati’ o ‘ascari’ che Roma appioppa qua e là esistono e vengono eletti grazie a una legge elettorale che fa schifo: il Porcellum. Una legge che sancisce il tionfo delle liste ‘bloccate’. Con gli elettori che non eleggono questo o quel candidato, ma i candidati messi in lista dalle segreteria romane. Una schifezza totale che è la negazione assoluta della democrazia.

Per attenuare gli effetti di una legge assurda e antidemocratica sono state celebrate le primarie. Che hanno consentito un parziale ricambio, portando in lista persone valide – soprattutto giovani – che, senza le primarie, sarebbero rimasti nell’angolo chissà per quanti anni ancora.

Eppure, otto dirigenti del Pd siciliano (che a Roma dicono essere sette, perché Bersani, il segretario nazionale che è capolista, opterà per un’altra regione: cosa che verificheremo quando opterà), verranno sacrificati per fare posto al altrettanti ‘ascari’ romani.

La verità è che, da Roma alle più lontane periferie, il Pd, tranne poche eccezioni, è prigioniero di una classe dirigente che, dall’avvio della Seconda Repubblica ad oggi, è rimasta praticamente tale e quale. Si parla spesso di Berlusconi, che da quasi vent’anni imperversa nella politica italiana. Sarebbe ora di lasciare i testimone ad altri, gli dicono i suoi compagni di cordata. E infatti, almeno ufficialmente, il Cavaliere non dovrebbe essere il candidato alla guida dell’Italia del centrodestra.

Nessuno, però, ricorda che i vertici del Pd sono rappresentanti, nel 95 per cento dei casi, da personaggi che erano in auge negli anni ’80 del secolo passato: D’Alema, Veltroni, Fassino, Rosy Bindi, D’Antoni. Lo stesso Bersani appartiene alla vecchia guardia. Di mandare in ‘pensione’ questi personaggi non se ne parla nemmeno.

In Sicilia, ad esempio, assistiamo attoniti al ‘caso’ Lumia. Tre o quattro legislature alle spalle, ‘fuggito’ dalle primarie dove non sarebbe mai stato eletto, Giuseppe Lumia pretende, adesso, di capeggiare la lista del Megafono, la formazione politica nata attorno alla figura del presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta.

Di fatto, un’idea politica nuova, nata attorno a un uomo politico che, pur tra qualche contraddizione (legata proprio al suo rapporto con il Pd), vorrebbe imprimere una svolta alla Sinistra siciliana, deve essere offuscata, se non rovinata, dalla presenza, addirittura come capolista, di un personaggio come Lumia, cresciuto grazie a un uso sapiente dell’antimafia di facciata e del clientelismo più sfacciato.

Per non parlare di un altro ‘caso’: quello di Caltanisetta. Dove a dettare legge sono Lillo Speziale e Totò Cardinale. Il primo è stato parlamentare regionale per setto o otto legislature; il secondo è stato parlamentare nazionale dal 1987 fino al 2008.

Il primo – Speziale – prima ha cercato in tutti i modi di farsi riconfermare all’Ars. Non c’è riuscito ed ha provato a vincere le primarie a Caltanissetta. Non c’è riuscito perché è stato battuto, per una manciata di voti, dalla figlia di Cardinale. Eh già, perché Totò, nel 2008, ha lasciato lo scranno parlamentare di Roma alla figlia Daniela. Siamo, insomma, al nepotismo.

Di fatto, il Pd, a Caltanissetta, è nelle mani di un personaggio – Cardinale – che era già parlamentare nazionale della Dc negli anni ’80. E che ha mollato il seggio solo per consegnarlo alla figlia. Contrastato da un altro personaggio – Speziale – che era già parlamentare regionale negli anni ’80.

Che significa tutto questo? Che Berlusconi sarà pure bravo nella comunicazione. Ma se ha ripreso quota, ebbene, questo è anche dovuto all’atteggiamento padronale dei ‘capi’ delPd romano, che nella gestione del Partito dimostrano di essere più berlusconiani di Berlusconi.

Un discorso simile riguarda Sel di Vendola. Che oltre a gestire Sel con uno stile da ‘Padrone delle ferriere’, ha commesso un errore politico grossolano. Tutti, pure i cani, sanno che il Pd di Bersani, dopo le elezioni, si alleerà con Monti e Casini per continuare a riempire di tasse gli italiani nel nome dell’Europa.

Per quale motivo, se lo scenario è questo – certificato dallo stesso Bersani che, due giorni fa ha aperto a Monti – Vendola si è alleato con il Pd? Per quale motivo un elettore di Sinistra, dalla Val d’Aosta alla Sicilia – che in quanto tale non ha nulla a che vedere con il Pd, dovrebbe votare un Partito, Sel, alleato dello stesso Pd?

La frittata combinata da Vendola è incredibile. Tant’è vero che il Partito di Antonio Ingroia, nato meno di due settimane fa con una chiara connotazione di Sinistra, nei sondaggi è già al 5 per cento. Mentre Sel perde dirigenti e militanti ogni giorno che passa. Basta andare su facebook per rendersi conto delle proteste dei tanti dirigenti – ormai ex dirigenti – e dei militanti che non sono affatto d’accordo con la scelta ‘governativa’ operata da Vendola.

In tutto questo, non contento di aver portato il suo Partito tra le braccia del Pd, di Monti e di Casini,Vendola ha imitato Bersani, trasformando in farsa le primarie del suo Partito. E imponendo, di fatto, i migliori posti nelle liste ai suoi amici & sodali.

Insomma – con riferimento, per esempio alla Siiclia – ai ‘paracadutati’ da Roma del Pd si sommano i ‘paracadutati’ da Roma di Sel. Di fatto, quel poco di sinistra che resta di queste due formazioni politiche in Sicilia è controllato dai romani.

Vendola non si dovrà stupire se il suo Partito farà un flop in Italia e, soprattutto, in Sicilia.

 

 

Redazione

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