Trentacinque anni, sposato, due figli, una carriera da avvocato già avviata e un debole per la politica, declinata nelle sue manifestazioni universitarie e comunali, con un ancoraggio saldo a destra. Ma Massimiliano Giammusso, candidato sindaco dello schieramento conservatore a Gravina di Catania, ci tiene a puntualizzare che la sua è una candidatura di «natura civica». Nel senso che, nella coalizione che lo sostiene e tra le liste che proveranno a spedirlo sullo scranno più alto del Comune, sono assiepati alcuni esponenti locali che provengono da una storia progressista. «Io sono nato, cresciuto e morirò nel centrodestra – dice – però sono espressione di una coalizione civica, al cui interno ci sono diversi riferimenti politici che si uniti a me perché negli ultimi anni abbiamo lavorato insieme in Consiglio comunale. Penso per esempio a Claudio Nicolosi, Michelangelo Barravecchia, Rosario Condorelli, Salvo D’Urso, Nino Condorelli». Giammusso è stato per due volte consigliere comunale, oltre che assessore.
Cosa l’ha spinta ad assumersi una responsabilità così grande come una candidatura a sindaco?
«Mi ha convinto il fatto di aver trovato su di me la sintesi di diverse forze politiche che oggi sono presenti in Consiglio, in particolare forze che in questi anni hanno fatto opposizione e che si considerano l’alternativa all’amministrazione uscente».
Che giudizio dà, per l’appunto, della giunta guidata da Domenico Rapisarda? In che condizioni, a suo avviso, lascia il Comune dopo cinque anni di amministrazione?
«Non sufficiente, tutt’altro, perché le grandi emergenze di Gravina sono rimaste tutte sul tappetto. La mancanza di identità (sia culturale che commerciale), l’abbandono del centro urbano, una urbanizzazione selvaggia, la viabilità che purtroppo non funziona, il sistema dei trasporti pubblici che rimane non collegato al Comune capoluogo».
E in questo quadro, voi da dove volete cominciare? Quali sono, a vostro avviso, le emergenze più stringenti?
«Noi vorremo utilizzare delle misure shock per provare a rilanciare l’economia, in particolare nel centro urbano. A Gravina abbiamo per esempio alcuni immobili chiusi, destinati a residenza, e si potrebbero invece consentire la trasformazione in immobili destinati a strutture commerciali, o ricettive o di ristorazione o culturali, senza far pagare il cambio di destinazione d’uso né gli eventuali oneri di ristrutturazione».
E nel settore – delicato, scivoloso, in alcuni casi «pericoloso» – della raccolta e del conferimento dei rifiuti? A che punto siamo, a Gravina, con la differenziata?
«Oggi quella dei rifiuti è la voce di bilancio più cospicua. A fronte di questo, la percentuale di differenziata bassissima, intorno 26 per cento, un dato che per altro viene calcolato sull’immondizia conferita in città, mentre in realtà molti cittadini la gettano via altrove, per esempio a Catania. Quindi la vera percentuale è molto più bassa. E siccome la si fa da quasi sette anni, secondo me si tratta fino a oggi di un fallimento. Qui bisogna cambiare passo».
Lei è politicamente vicino a Salvo Pogliese, che in questi giorni sta provando a strappare Palazzo degli elefanti a Enzo Bianco e al centrosinistra catanese. In un’ottica metropolitana, confida in una collaborazione istituzionale rafforzata da un rapporto di lunga data?
«Certo, l’auspicio è di vincere a Gravina per poter anche beneficiare delle risorse che ci potranno essere con la Città metropolitana e con la Regione. Pensando alla metro, per esempio: va detto che si sta sviluppando in una direzione per così dire orizzontale, non verso l’hinterland etneo. Un fatto grave, che lascia molto da pensare. Noi potremmo ovviare a questa mancanza con una linea Brt Nicolosi-Mascalucia-Gravina da un lato e Pedara-Tremestieri-Battiati dall’altro. Sarebbe la soluzione ideale».
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