Le sue storie parlano di costruttori abusivi. Di mortiammazzati che “dialogano” nel cemento. Di onesti cittadini sottoposti a controlli severissimi solo perché rispettano le leggi. Di disoccupati incensurati che non trovano lavoro, perché lo cercano in cooperative sociali destinate a chi ha almeno un precedente penale. O ancora di comunisti che non vogliono baciare Cuffaro. E proprio Ho baciato Totò Cuffaro è il titolo della sua raccolta di racconti che ha vinto nel 2004 il premio letterario nazionale Le agavi – città di Scilla (sezione racconto). Parliamo di Rocco Chimera, scrittore quarantatreenne di Butera (Caltanissetta). Lo abbiamo incontrato per parlare di letteratura e di Sicilia. E quindi, inevitabilmente, anche di mafia e antimafia.
Rocco, come è nato Ho baciato Totò Cuffaro?
È nato anni fa durante una cena in cui mi accorsi di essere lunico che votava per Orlando. Io di Cuffaro non avevo mai sentito parlare. E lì invece non avevano dubbi che vincesse le elezioni. Capii che lo conoscevano tutti, non solo come politico, ma come persona che bacia, perché bacia tutti. Da lì è nata lidea del comunista che non si vuole fare baciare per paura che facendolo, Cuffaro lo convinca a votarlo.
Cè qualcosa di autobiografico, nel racconto?
Io veramente Cuffaro lho conosciuto dopo. Si trovava a Butera per un comizio e mi riferirono che, appena sceso dalla macchina, aveva chiesto: «dovè lo scrittore?». Perciò mi vennero a chiamare. Di primo acchito mi guardò interrogativo, sembrava chiedersi: ma ha parlato bene o male di me? Però poi ci siamo baciati ed è passato tutto.
A proposito del bacio, lei fa una bellissima descrizione del bacio siciliano, che ha tutta una sua valenza, un suo significato…
Il bacio è un patto indissolubile, incorruttibile, che cambia da provincia a provincia. A febbraio ho presentato a Latina il libro in un istituto superiore. E cerano alcuni professori che dicevano: ci voleva qualcuno che scrivesse sui baci, che dicesse la verità. Un po mi è dispiaciuto deluderli. Ma il problema è che la gente non percepisce Cuffaro come mafioso, tanto che in Sicilia la sinistra ha perso le elezioni regionali anche se gli ha contrapposto Rita Borsellino, che è un simbolo dellantimafia. Cuffaro è percepito invece come uno che risolve i problemi della gente, anche i più piccoli.
In uno dei racconti della raccolta, Al di là del bene e del male, ci sono tre `mortiammazzati´ impilati nel cemento che `parlano´ fra loro. Uno di loro dice: «ci sono cose che vanno al di là del bene e del male. Perché sacrificare una famiglia è una scelta maledetta». Anche lei pensa che ci sono cose per cui non vale la pena rischiare?
È una scelta assai difficile. Quando ho scritto questo racconto ho pensato al sacco di Palermo di qualche lustro fa, ai sindaci mafiosi della Palermo dei Ciancimino e di molti altri. Quando ti trovi in una società così, dove il cambiamento non lo vuole neppure chi lotta per questo cambiamento, le cose sono due: o pensi che gli altri vogliono che si lotti per ristabilire la speranza, oppure sei tu che caparbiamente lotti, perché non vuoi arrenderti. Però quando cè di mezzo la scelta della famiglia, diventa veramente difficile. Sciascia chiamava un certo tipo di politici “i professionisti dellantimafia”; perché una cosa è fare lonorevole che fa la lotta alla mafia da Roma, da un ufficio, con la scorta, fare una proposta di legge. Unaltra cosa è essere un commerciante ed opporti al racket delle estorsioni a Gela, a Palermo o a Siracusa, tanto per dire.
Tommaso Scappaticci, che ha curato la prefazione del suo libro, ha detto che la fondamentale cifra stilistica della sua narrativa va individuata nella capacità di denunciare quello che non va, mentre si continua a intrattenere il lettore.
Io, tra il serio e il faceto, racconto le cose per come sono, e mi diverto a farlo. Non voglio e non posso giudicare, perché le condanne morali possono farle solo i grandi. Pirandello per esempio era uno di questi, dava un messaggio integrale, rigoroso, straordinariamente intelligente. Io scrivo di realtà. E credimi: ce ne vuole di fantasia per farla credere tutta, la realtà.
La sua scrittura è una miscela di lingua e dialetto che risente della lezione di Camilleri. Come si svolge la sua ricerca stilistica?
A volte penso che ci sia una forza straordinaria che tiene insieme gli scrittori siciliani facendo in modo che parlino di cose della Sicilia. Perché, come ha detto Sciascia, lo scrittore che se ne allontana, la Sicilia se la porta appresso. È una sorta di condanna a vivere. Noi abbiamo il problema, come scrittori siciliani, di descrivere la realtà regionale e di farla capire a tutti i lettori. Quindi o si scrive in italiano e non si dà il senso della regione di appartenenza, o si scrive in dialetto con il rischio che non ti capisca nessuno. Così la strada è sempre «in mezzo».
Su cosa sta lavorando adesso?
Ho scritto un romanzo, «LErostrato comunista ed il Cavaliere», che verrà presentato ad ottobre al premio Le agavi Panormus 2007, a Palermo.
Chi è LErostrato?
LErostrato è colui che ha bisogno di azioni eclatanti per raggiungere lo scopo che si è prefisso, perché vuole essere ricordato. Come fu per il personaggio greco Erostrato che per entrare nella storia tentò di distruggere il tempio di Efeso. Il nostro Erostrato moderno cerca più semplicemente di convincere il cavalier Silvio che i comunisti italiani alla fine non sono poi cosi truci, cattivi e pericolosi.
Se dovesse dare un consiglio ai giovani scrittori?
Direi che bisogna investire molto sullincipit: linizio è quello che deve suscitare linteresse del lettore. Spesso lincipit contiene una domanda di cui poi il lettore vuole conoscere la risposta.
E gli incipit di Rocco Chimera sono curiosi e accattivanti. Il più famoso?
«Smaaachhhh!. Quando Totò Cuffaro baciava, lo faceva di gran lena, storcendo il muso a cercare la guancia dellinterlocutore. Riusciva, sempre, a dare uno di quei baci che in Sicilia sancivano un patto damicizia indissolubile, inossidabile ed incorruttibile…». A voi decidere se continuare la lettura.
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