È palermitano il campione nazionale di paraciclismo Dario Bartolotta: «Niente è impossibile, basta volerlo»

«Salvatore mi ha salvato e Vittoria mi ha dato la vittoria». Gioca coi nomi, Dario Bartolotta, neocampione italiano di handcycling. A Bassano del Grappa il 23 giugno l’atleta palermitano ha conseguito la medaglia d’oro. E il suo primo pensiero è per il padre, Salvatore – carabiniere morto nell’attentato al giudice Rocco Chinnici il 29 luglio del 1983 – e per la figlia Vittoria. «Dedico a loro la vittoria, e ovviamente a mia moglie che è stata la prima ad abbracciarmi. Con l’amore si raggiungono grandi obiettivi. L’impossibile non esiste, l’importante è volerlo». Al suo arrivo ieri in aeroporto il neocampione è stato accolto da una quarantina di persone, tra fuochi d’artificio e bandiere italiane.

Una storia davvero emblematica, quella dell’atleta palermitano. Dario ha perso l’uso delle gambe nel 2012, dopo un terribile incidente con lo scooter. Ma non si è mai fermato, complice una strabordante voglia di vivere. Dopo aver stabilito il record mondiale per i 12 chilometri alla Strapalermo, grazie al suo esoscheletro personale, a novembre 2017 ha cominciato ad affrontare l’handbike. Per diventare campione italiano della disciplina ad appena un mezzo e distanza. «Pratico l’handbike perché racchiude tutte le passioni che avevo quando ero normodotato, nella mia precedente vita – racconta Dario – A me piaceva correre, sia in go kart che in motocicletta, e poi facevo palestra. Quindi forza muscolare, agilità, e velocità: tutte le caratteristiche che servono nell’handbike. Mi sono appassionato e ho cominciato per gioco. Ho visto poi che i risultati arrivavano, nel senso che intanto si accorciavano le distanze coi campioni italiani della disciplina. Se prima mi davano dieci minuti di distacco, poi sono scesi a otto e successivamente, alla maratona di Firenze del novembre 2017, sono arrivato a due minuti e mezzo dal campione d’Italia».

Per questo motivo Dario, che è rimasto uno spirito competitivo nonostante la disabilità, ha deciso di rivolgersi dei professionisti. Senza preparatore atletico, insomma, da solo difficilmente avrebbe potuto colmare quel gap. «Mi sono rivolto a uno specialista di Torino, che prepara atleti olimpionici e medaglie d’oro come Vittorio Podestà e Alex Zanardi – spiega – Dopo sei mesi di preparazione ho deciso di passare alla squadra di Podestà, per potere recuperare ancora qualche margine di miglioramento. E così è stato. Sono stati davvero fondamentali, tra informazioni essenziali e allenamenti ancora più specifici. Piccoli e grandi accortezze, insomma, che mi hanno consentito di vincere poi il titolo tricolore».

La lista dei ringraziamenti di Dario è lunga: «Grazie alla mia famiglia, alla società, ai miei accompagnatori. In un anno e otto mesi sono diventato campione italiano, il morale è alle stelle. In così poco tempo non mi aspettavo di raggiungere un risultato del genere». La gara con la quale si è poi aggiudicato la medaglia d’oro – con tanto di foto di rito insieme al celebre Alex Zanardi, l’ex campione di Formula 1 che negli anni è diventato simbolo di riscatto – è stata poi emozionante, con un finale a due in cui Dario è riuscito a infliggere sei secondi di distacco al suo avversario più diretto. «Per un anno la maglia tricolore resta in Sicilia – sorride ora l’atleta palermitano – Al momento mi godo la vittoria. Mi ritrovo spiazzato, nel senso che sono passato da sognatore ad aver realizzato un sogno. Adesso che ho vinto il tricolore, spero in una convocazione con la maglia azzurra. Sarei felicissimo per la mia famiglia, pensando soprattutto a mio padre».

Il papà di Dario, Salvatore Bartolotta, ha fatto parte della scorta del giudice istruttore Rocco Chinnici. E da appuntato dei carabinieri, è morto insieme al giudice il 29 luglio di 36 anni fa, a seguito dell’esplosione di un’autobomba. «Era un uomo dedito all’arma, uomo d’altri tempi che ha dato la vita per l’Italia – racconta Dario – Quando sento l’inno di Mameli le lacrime scendono da sole. Più in generale la mia famiglia è felicissima, mi hanno sempre spronato. Siamo scoppiati tutti in lacrime alla vittoria. Anche perché mi hanno visto impegnato per tanti mesi per raggiungere l’obiettivo: ho dovuto mantenere un certo peso e una certa forma muscolare, alternando fibre bianche e fibre rosse. Noi poi in famiglia siamo di buona forchetta, quindi il sacrificio è stato doppio».

Andrea Turco

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