e nonostante tutto a me piace Battisti!

Due delle cose peggiori che possiamo fare quando parliamo di gusti musicali sono le seguenti: la prima è dire “o bianco o nero” escludendo l’ipotesi “bianco e nero”, e la seconda dare un colore politico alla musica quando questa non ce l’ha.

 

Ed ecco così la contrapposizione: se De André ha una palese connotazione politica, di Battisti si è detto che sia stato di destra. Anzi, un fascista sostenitore dell’MSI.

E si è pure detto, cosa del tutto infondata, che avesse finanziato associazioni di estrema destra che negli anni ’70, per inciso, sono finite per sfociare nel terrorismo nero: un triste esempio è Piazza Fontana.

E sono cominciate così, grazie a queste voci, le interpretazioni fasciste delle canzoni di Lucio: “o mare nero, mare nero”…tanto per far cadere a pezzi la più famosa.

 

Fu Michele Serra il primo a dire come stavano le cose in fatto di colore politico e a “riabilitare” Battisti presso il pubblico di sinistra.

La sua appartenenza politica, per la verità, non è mai stata provata, né mai Battisti ha assunto particolari posizioni in merito: né quando fu considerato fascista, né quando ha cantato “Let sunshine in” nel ’71, canzone emblema contro l’intervento militare in Vietnam. Mai una smentita, una dichiarazione, una precisazione. Introverso com’era, liquidava velocemente la faccenda dicendo che di politica non se ne interessava. L’unica questione che gli stava veramente a cuore era quella ecologica, in sintonia con Celentano. E si chiudeva là.

Mogol si è difeso dicendo che è stata tutta una montatura dei giornali perché all’epoca tutti parlavano di politica e Battisti con le sue canzoni piccolo-borghesi era la voce stonata del coro (rivoluzionario tra i rivoluzionari, forse?). Ma, a dirla tutta, dice Mogol, Battisti alle elezioni non andava neanche a votare. E preferiva parlare delle cose semplici, preferiva parlare d’amore. Sì, l’amore. E gli costò pure l’odio delle femministe che crocifissero canzoni come “Comunque bella” per l’immagine che dava della donna. Non che in fondo avessero torto ma forse varrebbe la pena di dire che la sua musica comunque è bella.

 

E se mettiamo da parte tutte queste interpretazioni che a nulla portano e a nulla servono, diciamo con onestà che se De André faceva una musica dai testi intellettuali, assumeva posizioni scomode e cantava con la voce degli zingari del bosco, Battisti la musica italiana l’ha cambiata e ha cambiato pure i costumi degli italiani.

C’è chi ricorda “i commenti di mio padre quando andò per la prima volta a Sanremo” (quando Sanremo valeva la pena guardarlo, a scanso di Povia…) perché aveva il foulard intorno al collo. Il foulard, i maglioni rossi e bianchi a collo alto, i capelli ricci. Questo è quello che si ricorda di quelle immagini in bianco e in nero…e lo storico duetto con Mina, la tigre di Cremona.

E poi la sua musica, la vera rivoluzione più della rivoluzione di costume: il saper personalizzare la forma della canzone, l’aver cantato temi e melodie in modo del tutto nuovo, l’aver sperimentato con la musica fino al limite della comprensione.

E se De André la musica l’ha fatta in un verso, Battisti l’ha fatto nell’altro.

 

O bianco o nero? Sarebbe riduttivo visto che per i giovani di allora erano importanti sia Faber sia Lucio.

Ma se proprio devo scegliere, se proprio ogni cantautore ha il suo rivale allora viva Lucio con i suoi giardini di marzo, i suoi pensieri, le sue parole…e in fondo quello che conta nella musica sono solo le emozioni.

Lucia Occhipinti

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