Modica, 18 giugno 2009

 

Sono in ritardo, come al mio solito. Spero che la presentazione alla Mondadori non sia già cominciata, devo ancora trovare parcheggio in questa maledetta bolgia del tardo pomeriggio modicano in Corso Umberto. C’è poca gente in libreria, alcuni gironzolano come alla ricerca di qualcosa che catturi la loro attenzione, altri in attesa della presentazione, suppongo. Arrivo all’ultima sala, quella dei grandi libri d’arte, dei manuali su come migliorare se stessi con escamotage di serie B e vari altri testi di origine incerta. Una giovane donna seguita da un cameraman intervista quello che credo sia Alberto Spampinato, autore de C’erano bei cani ma molto seri (Ponte Alle grazie), oggetto della presentazione di oggi.

 

Mi siedo, aspetto che finiscano. Mi guardo intorno e quasi mi vien voglia di sfogliare un manuale su Matisse, lo avevo notato poggiando la borsa a terra. Indugio sul da farsi ed ecco che il colloquio tra i due finisce, la donna va via e tutti si siedono in attesa. Magari lo sfoglierò un’altra volta…

 

Renzo Lo Presti, così si presenta l’uomo sulla sessantina che inizia a parlare, è amico dell’autore, ed era amico di suo fratello Giovanni, un giornalista ragusano morto ammazzato nel 1972. Lo Presti dice che il libro sembra nascere dalla necessità di rielaborazione personale dell’evento tragico che ha coinvolto il giovane e che ha avuto le sue ripercussioni su chi è sopravvissuto; ma non è solo una commemorazione. Il libro lo avevo letto e avevo già notato che non era solo un rievocare quel tragico episodio e la figura di Giovanni, quanto piuttosto un memoriale collettivo.

 

Il testo ricorda la storia dei due fratelli e della loro famiglia, un passato comune ai nostri, con gli alti e bassi che la vita ci riserva, le scaramucce tra fratelli, la ricerca della propria strada, l’evoluzione inarrestabile a cui ogni uomo è sottoposto. Questo il grande potenziale del libro. Riesce a far immedesimare chiunque lo legga…Giovanni non era un eroe senza macchia e senza paura, ma un ragazzo qualsiasi, che frequentava l’università, che aveva una ragazza, andava al mare, si scontrava col padre e aveva una grande passione per il giornalismo.

 

Alla presentazione si diceva che il libro aveva un “respiro epico”, ma io credo il contrario. Questa storia è raccontata in modo semplice, a volte diventa cronaca, altre dolce nostalgia. E ammetto che leggerlo è stato piacevole, almeno fino a quando le prime parole del sesto capitolo mi hanno scosso tanto da sentire un brivido di ghiaccio sulla pelle. Da quella pagina in poi l’autore scrive nero su bianco le sensazioni che prova oggi, dopo quasi quarant’anni di inconsapevole silenzio, un muro che non riusciva a valicare, un nodo alla gola costante al pensiero di dover raccontare il triste epilogo della vita di Giovanni, e quel profondo solco di confine tra la vita vissuta fino a quel momento dalla famiglia Spampinato e quella da superstiti su una zattera trascinata al largo dal vento dell’ingiustizia. Tutto comincia con la morte dell’ingegnere Angelo Tumino, avvenuta in circostanze misteriose in contrada Ciarberi, nelle vicinanze di Marina di Ragusa il 26 febbraio del 1972. Giovanni da poco lavorava per L’ora di Palermo, un quotidiano del pomeriggio, e su questa vicenda, insolita nel ragusano, decide di approfondire le ricerche, di non affidarsi soltanto alle fonti ufficiali, ma di investigare sulle vere ragioni dell’assassinio.

 

 Sarà per mano di Roberto Campria, l’uomo di cui aveva parlato in un suo articolo e figlio di un magistrato che operava a Ragusa, indagato inizialmente sul caso della morte dell’ingegnere, che Giovanni morirà la notte del 27 ottobre del ’72. Dopo la testimonianza di Mirone, autore del libro Gli insabbiati, storie dimenticate dei giornalisti uccisi in Sicilia come Fava, Impastato, Cristina e lo stesso Spampinato, termina la presentazione Alberto e ammette di averci messo trentacinque anni a scrivere questo libro, e aggiungo che, una volta finito di leggere il libro la pesantezza di quegli anni l’ho sentita tutta.

 

Ero andata alla presentazione per avere qualche notizia in più, qualcosa da aggiungere, e in effetti Lo Presti parla di una prossima apertura di un centro di documentazione a Ragusa intitolata a Giovanni, quel ragazzo che ha scelto di far il suo lavoro al meglio, di informare ed indagare, e che ha pagato la sua tenacia col sangue. Mi piace pensare che dopo 37 anni, quando sembra che tutto cada nell’oblio, i superstiti intervengono e ricordano a chi ha cancellato e fanno conoscere a chi non ha mai saputo della morte di un ragazzo che si affacciava all’età adulta, sottratto a questo mondo perché aveva scritto ed indagato alla ricerca della verità.

Eleonora Spadaro

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