Il microcosmo delle candelore è indissolubilmente legato al mondo popolare catanese, eppure da qualche anno vi è la classica eccezione che conferma la regola. Giuseppe Currò, affermato psicopedagogista, è il primo, e finora unico, esempio di “portatore” laureato.
Cosa ha spinto un professionista verso le candelore?
La verità è che si diventa prima “cannaluristi” che professionisti. Portare la candelora è un vero e proprio mestiere che ti attrae fin da quando sei molto giovane. È facile vedere bambini molto piccoli che già imitano le gesta dei loro “eroi”. Tutti i titoli vengono dopo, ma la passione e l’attrazione per le candelore ti rimane dentro, anche se cambia la prospettiva. Il vero significato è quello di portare una torcia a S. Agata, la candelora è un’offerta verso la nostra padrona.
Qual è il suo rapporto con gli altri portatori? Crede sia influenzato dal suo titolo?
No. O almeno non per tutti. Forse qualcuno tende a mostrare un rispetto maggiore, anche se alla fine la fatica e la devozione ci accomuna tutti, abbattendo ogni differenza. Molti, invece, ancora oggi si stupiscono quando scoprono di me e del mio titolo.
Crede che il suo esempio resterà isolato nei prossimi anni?
La speranza è che il mio esempio non resti l’unico. Purtroppo credo per molti anni la situazione rimarrà invariata, se anche la parte nobile della città, compresa quella politica e militare, non si avvicina a questo mondo. L’unica figura che da sempre si è mostrata vicino alle candelore, senza nessuna predilezione per qualcuna in particolare, è quella del commendatore Maina, che da anni, con passione e dedizione, organizza questa festa. Forse è il suo il vero esempio da seguire, visto che fino ad oggi non si è provvisto ad affiancargli qualcuno, che potrà un giorno succedergli. Dopo di lui le scelte continueranno ad essere guidate dall’amore e dalla devozione, o il ruolo di cerimoniere diventerà una carica politica come tante altre?
C’è un aneddoto storico a cui è particolarmente legato?
Quello riguardante il circolo di S. Agata. Ancora oggi, come negli anni in cui io stesso ho portato questa candelora, le famose “prove” che avvengono in forma del tutto riservata entro la chiesa della Collegiata, in accordo con il prete della chiesa, sono accompagnate con un sottofondo musicale del tutto particolare, le note della “coroncina di S. Agata”. Il rumore tipico delle candelore ad esse legate fa rabbrividire, creando un’atmosfera del tutto surreale.
Qual è il suo primo ricordo della festa?
Quando non avevo nemmeno quattro anni scappai da casa, in via Trovatelli, per andare a vedere la festa, portandomi dietro la sorellina, più piccola di un anno e mezzo. Ci ritrovarono a piazza Duomo mano nella mano.
In un altro articolo abbiamo evidenziato alcuni particolari soprannomi. Qual è il suo e perché?
Il mio soprannome è “pinnenta”, orecchino. Mi è stato dato perché sono stato il primo tra i portatori ad averlo. In un mondo macho e muscoloso, indossare l’orecchino poteva essere motivo di ilarità ma anche di meraviglia, soprattutto agli inizi degli anni ’90, quando ancora da poco era scoppiata la moda. Oggi, a distanza di anni, avere l’orecchino non fa più scalpore.
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