Maria Concetta Velardi, la vedova 59enne trovata morta ieri pomeriggio al cimitero di Catania, è stata uccisa. I rilievi del medico legale hanno dissipato ogni dubbio: si tratta di omicidio. E l’arma del delitto è una grossa pietra, pesante qualche decina di chili, che è stata ritrovata poco distante dal corpo. A dare l’allarme, intorno alle 16.30, è stato il figlio, che, come era solito fare, aveva accompagnato la donna al cimitero per fare visita ai familiari morti: il padre Angelo e l’altro figlio Lorenzo, scomparso cinque anni fa a causa di un tumore. Ieri, fino a tarda sera, nei locali della squadra mobile etnea è stato sentito proprio il figlio, un sottoufficiale della Marina militare. Insieme a lui anche un altro uomo di 37 anni, originario di San Giorgio, è stato ascoltato dalla polizia. Il giovane avrebbe conosciuto la vedova nei mesi scorsi al cimitero, dove entrambi erano soliti andare quotidianamente. Ma gli investigatori non hanno ancora chiarito la dinamica e il movente del delitto
Il corpo di Maria Concetta Velardi è stato trovato nel vialetto alle spalle della cappella di famiglia, senza scarpe, riposte ordinatamente all’ingresso della cappella di famiglia. «Aveva l’abitudine di entrare scalza nella cappella per pulirla – racconta chi la vedeva ogni giorno, lì al cimitero – Spesso veniva in compagnia del figlio, che comunque passava ogni mattina, lavorando qui vicino. Erano sempre gentili con tutti, due brave persone». Eppure dalle analisi del medico legale appare evidente come l’omicida si sia accanito contro la donna, colpendola ripetutamente sulla testa. Esclusa la pista della rapina: la vedova indossava una collana e a pochi metri dal cadavere è stato trovato anche un braccialetto.
Il delitto sarebbe stato commesso poco prima delle 16.30, ora in cui il figlio – secondo i suoi racconti – ha avvertito il custode del cimitero e chiamato la polizia. L’uomo avrebbe raccontato di aver accompagnato la madre e di essersi allontanato pochi minuti per andare a prendere un caffè. Circostanza confermata da quanti lavorano al Caffè Divino Amore, il più vicino al cimitero, che ricordano di aver visto l’uomo entrare, prendere un caffè da portare via e uscire dal locale. Al bar, stamattina, tutti parlano dell’omicidio. «Possibile che la telecamera a 360 gradi sui tornelli (a circa 50 metri dalla cappella, ndr) non abbia ripreso niente?», si chiede qualcuno. «Ammesso che funzioni», risponde un altro avventore.
Confermata la versione del figlio per quanto riguarda la parentesi caffè, rimane da chiarire il resto della storia. Secondo la quale quando, al suo ritorno dal bar, l’uomo si è trovato davanti la terribile scena, avrebbe provato a dare soccorso alla madre, spostando anche la grossa pietra. Questo spiegherebbe le macchie di sangue sia sulle mani che sulle scarpe. Ma emergono nuovi dettagli dal racconto dell’altro testimone: il 37enne di San Giorgio che aveva conosciuto la donna proprio tra i viali del cimitero. Sentito dalla polizia, il giovane avrebbe riferito di essere stato per due volte ieri mattina al cimitero, ma di essere tornato a casa intorno alle 14. Ha aggiunto di avere visto madre e figlio intorno alle 13, sottolineando inoltre che l’uomo indossava un giubbotto bianco. Indumento che, però, al momento dell’arrivo della polizia, il figlio non aveva. Né la scientifica ha trovato tracce del capo descritto attorno al luogo del delitto.
Ulteriori dettagli, in parte discordanti, arrivano anche dalla testimonianza del custode del cimitero, Salvatore Coco. Che ieri si trovava al deposito quando, intorno alle 16.15, racconta di essere stato raggiunto da una donna, la quale gli avrebbe riferito le urla di un uomo: «Mia madre è morta». «Quando sono arrivato, ho trovato il figlio pieno di sangue, nelle mani e addosso. Mi sembrava più aggressivo che turbato – racconta il custode – Mi è venuto incontro con il suo telefono in mano e mi ha detto “Chiama la polizia”». Ma il lavoratore si sarebbe rifiutato, preferendo contattare le forze dell’ordine dalla propria utenza telefonica. Sarebbe stato sempre lo stesso custode ad attendere gli agenti e a portarli sulla scena del crimine. «Qui siamo soli, non c’è controllo – conclude il testimone – Sento sempre gridare, specie per gli scippi, ma posso fare poco».
La Procura della repubblica di Catania ha intanto aperto un’inchiesta, coordinata dal procuratore capo Giovanni Salvi e dal sostituto Giuseppe Sturiale. Al momento non ci sono iscritti nel registro degli indagati.
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