Don Puglisi beato: sarà fiumana di fedeli a Palermo. Il suo esempio per il mondo laico

Le cifre che circolano aumentano di giorno in giorno. Prima 30.000, da sistemare allo stadio Renzo Barbera. Poi s’è parlato di più di 60.000 fedeli in arrivo, e quindi la scelta del prato del Foro Italico a Palermo, già utilizzato in visita da papa Benedetto XVI.  E tra ieri e oggi si ritoccano le stime: 80.000, poi 100.000… Una cosa è certa, Don Puglisi rappresenta un esempio, un martire, non solo per il mondo religioso e dei credenti, ma anche per il mondo laico. Eppure c’è chi si lamenta del destino del prato del Foro Italico a causa della folla… Incredibile. Chi lo fa, non si rende conto del significato di Padre Puglisi per Palermo, per l’Italia, e oltre.

Padre Puglisi, foto tratta dal sito dell’Arcidiocesi di Palermo

Don Puglisi ha una valenza che va aldilà delle problematiche legate all’accoglimento di migliaia, anche di centinaia di migliaia di persone a Palermo. Non solo perché beatificato, ma perché ha dato la vita per la lotta alla mafia, senza indugi e con un’esistenza esemplare.

Bastano poche parole, scritte dallo stesso Don Puglisi per rendersi conto di cosa rappresenti la sua vita e il suo sacrificio, che ha un valore chiaramente “laico” come religioso. In una sua relazione, pubblicata nella biografia dell’arcidiocesi di Palermo, possiamo notare l’impegno sociale, l’impegno civile, l’impegno da cittadino.

Possiamo notare come sia stato capace d’esporre in maniera profonda e in poche righe il cuore della realtà urbana nella periferia degradata e sfregiata dalla mafia nelle persone e nelle cose. Qualcosa che pochi urbanisti a Palermo hanno saputo cogliere nell’analisi di un quartiere come Brancaccio:  “Gli abitanti sono ottomila, ma solo tremila sono i superstiti dell’antica borgata rurale. L’ambiente è disomogeneo e la presenza della mafia è soltanto uno dei problemi. Certo non il minore, ma per molti la vera preoccupazione è riuscire a mangiare ogni giorno. Circa 150 famiglie arrivate dal centro storico si trovano concentrate in due enormi palazzi, in via Hazon 18 e in via Scaglione 8. Stavano in case ormai inagibili, che crollavano a pezzi. Il Comune le ha fatte sgomberare e ha requisito questi due nuovi edifici. Le famiglie ora vi abitano ma si sono portate dietro solo la propria povertà. E’ una terra di nessuno. I bambini vivono in strada. E dalla strada imparano solo le lezioni della delinquenza: scippi, furti…”

La famiglia di Don Puglisi, foto tratta dal sito dell’Arcidiocesi di Palermo

E ancora: “Sulla via Brancaccio, tra due passaggi a livello, vi è una zona chiamata Stati Uniti. Qui i più poveri della città trovano rifugio in catoi che non possono chiamarsi case, ma costano pochissimo di affitto. Qui la povertà è anche culturale: molti non hanno conseguito neanche la licenza elementare. Come parrocchia abbiamo cercato di fare dei corsi per questi analfabeti, ma certo il nostro sforzo non è sufficiente…”

Basterebbero queste poche righe, ancorché parlino di problemi arcinoti, per candidarlo a una laurea ad honorem, postuma, in Urbanistica presso la Facoltà di Architettura di Palermo. E non per il valore dell’analisi in se, che è esercizio quasi ovvio eppure trascurato da tanti urbanisti e amministratori, e non solo perché è una relazione basata sulla conoscenza e la ricerca sul campo, anziché tra i libri o in una scrivania di una biblioteca universitaria, ma soprattutto perché Don Puglisi in quel quartiere ci viveva per scelta e impegno, e lottando in prima linea. Lottando fino alla morte.

E ancora, la lucida analisi sociale di Don Pino Puglisi: “Ma anche la microcriminalità a Brancaccio deve rispettare certe regole. Tutto deve essere fatto “con il permesso di”. Ad esempio, subito dopo l’arrivo di questi sfrattati ci fu un’ondata di furti d’auto. E alcuni di questi ladruncoli, per punizione, sono improvvisamente scomparsi. Agivano senza seguire le regole imposte dai mafiosi del luogo: chissà, forse li ritroveranno dentro qualche pilastro di cemento… Poi evidentemente c’è stata la sottomissione e da allora non è scomparso più nessuno. I furti continuano ma colpiscono solo chi non è “protetto”. I ladri di questo genere, quindi, non sono “uomini d’onore” ma formano la rete di connivenze della mafia.”

E ci fermiamo al valore laico della manifestazione del 25 maggio prossimo venturo. Perché ognuno è libero di credere a un Dio o meno, e credere o meno anche al valore cattolico della vita di Don Puglisi.  La lettura della sua breve biografia pubblicata sul sito dell’arcidiocesi di Palermo (www.diocesipa.it), così come quella di qualsiasi altra biografia a lui dedicata, induce alla riflessione sulle proprie scelte personali e sul senso dell’esistenza. Non a caso Don Ciotti ha richiamato l’attenzione sul “sentiero del buon senso” e sul “coraggio della responsabilità” a proposito di Don Pino Puglisi.

L’esempio di vita, e di morte, di Don Puglisi va ben aldilà di tutto. Di qualsiasi cosa, soprattutto a Palermo. Soprattutto in Italia. Soprattutto in Europa e in questa terra. Non a caso, Don Pino, cammina verso la sua messa di beatificazione che sarà celebrata in compagnia di una fiumana di uomini, donne e bambini. Di cittadini. Vivi, che testimoniano del suo vivere.

Gabriele Bonafede

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