La famiglia imprenditoriale dei Furnò ancora una volta sotto la lente d’ingrandimento delle procure. L’ultima inchiesta è quella portata a termine dagli uomini del comando provinciale della guardia di finanza di Catania su delega degli uffici giudiziari del capoluogo etneo. Agli arresti domiciliari, con l’ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta, sono finiti Rosario Furnò, e i suoi due figli Sandro e Piero. Disposto dalle fiamme gialle anche il sequestro preventivo di disponibilità finanziarie, contenute in 15 conti correnti, per quattro milioni di euro. Dietro la presunta bancarotta si celerebbe il fallimento della società Betoncat, attiva sul territorio nazionale per la costruzione di opere idrauliche e con un fatturato annuo di 10 milioni di euro. Numeri importanti che però non avevano evitato il fallimento, dichiarato dal tribunale di Catania l’1 dicembre 2016.
I Furnò, secondo l’ipotesi investigativa, avrebbero distratto le risorse finanziarie della società attraverso l’alterazione delle scritture contabili, utili, per l’accusa, a nascondere la destinazione del patrimonio aziendale, verso scopi estranei al mandato sociale. A questo si aggiunge anche un presunto danno erariale derivante dal mancato versamento di contributi previdenziali, per una cifra che sfiorerebbe i 20 milioni di euro. Sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori sono finiti i bilanci sociali di sei anni, dal 2010 al 2016. Tra le tante operazioni commerciali, che gli inquirenti definiscono «frutto di un’insana gestione aziendale», ci sarebbero una serie di trasferimenti azionari, mediante donazione, tra parenti e affini della famiglia Furnò «strumentali a minimizzare le responsabilità penali e civili degli effettivi amministratori».
I circa quattro milioni di euro sottoposti a sequestro si riferiscono anche ad operazioni effettuate dalla fallita con società solo apparentemente terze – Costruzioni Generali Gasdotti di Regalbuto (Enna) e Furnò Costruzioni Ferroviarie – ma, in concreto, di proprietà della stessa famiglia imprenditoriale. Il nome degli impresari etnei negli ultimi anni era stato associato anche all’Etna Rail, ovvero la metropolitana leggera su monorotaia. Un progetto rispolverato dalla città metropolitana di Catania, per un costo di 550 milioni di euro. Tra i proponenti anche i Furnò, con il figlio Piero nel 2012 coinvolto in una maxi-operazione della guardia di finanza di Genova. In manette finirono 38 persone accusate a vario titolo di corruzione e frode in pubbliche forniture, per gli scavi nell’asfalto stradale per permettere la posa di tubi del gas.
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