Docenti Unict: «Il Muos è anticostituzionale» La mappa delle basi militari straniere in Italia

Il Muos non s’avrebbe da fare. A dirlo questa volta non sono attivisti, mamme e cittadini di Niscemi, ma alcuni docenti di Diritto dell’università di Catania. Riuniti – insieme a studiosi di scienza politica, geopolitica e avvocati – in un incontro nell’aula magna del dipartimento di Scienze politiche sulle basi militari straniere in Italia. Considerazioni a margine della vicenda Muos recita il sottotitolo, ma il discorso – che si allarga oltre l’impianto militare statunitense di antenne satellitari – ha tutto a che vedere con la legittimità dei lavori. E con la reazione della popolazione, niscemese e non solo.

A dare un quadro generale della presenza miliare straniera sul territorio italiano è Rosario Sapienza, docente di Diritto internazionale. «Il regime delle basi è blindato da accordi bilaterali accompagnati da altrettanti accordi coperti dal segreto militare – spiega il professore – Così, noi cittadini non abbiamo chiaro a cosa ha acconsentito lo Stato italiano». Le basi si dividono in avamposti Usa e Nato, «senza grosse distinzioni nelle concessioni». Sempre spazi italiani, con un comandante italiano, «ma con una parte concessa a un Paese straniero che esercita tutti i poteri su quella porzione». Senza alcuna cessione di sovranità territoriale da parte dell’Italia, almeno sulla carta. Ma la realtà, spiega Sapienza, è diversa. «Per quanto mi risulta faccia parte degli accordi segreti, l’accesso e la responsabilità alle armi nucleari eventualmente stoccate sono solo degli Usa – spiega il docente con un esempio – Gli alti funzionari militari italiani possono esserne informati, ma mai decidere su questo argomento».

Una prassi che ha molto a che vedere con la storia. «Si tratta di un dialogo tra una parte che ha vinto la guerra e un’altra che, a parte stranezze lessicali, l’ha persa», conclude Sapienza. Così gli alleati americani e le forze Nato si trovano sul territorio italiano con più di cento avamposti. CTzen vi propone una mappa delle basi straniere in Italia, senza considerare postazioni saltuarie, depositi e centri di telecomunicazione. Un documento costruito attraverso gli studi degli utenti della Rete, in assenza di dati ufficiali accessibili ai cittadini. Cliccando sui simboli – che riportano le bandiere delle due potenze militari secondo la pertinenza della base – sarà possibile vedere che tipo di operazioni si svolgono al suo interno.

Questa gestione degli accordi internazionali da parte dell’Italia sembra essere formalmente scorretta. A spiegare il motivo è Agatino Cariola, docente di Diritto costituzionale, che prende spunto proprio dai documenti che hanno dato il via al progetto Muos. «Il trattato Nato del 1948 per la mutua assistenza in caso di attacco – elenca – Poi un trattato sulle infrastrutture del 1954, siglato tra il ministro dell’Interno del tempo e l’ambasciatore Usa e rimasto segreto, e infine una serie di accordi tra strutture militari su l’utilizzo delle basi e la loro installazione». Trattative che, secondo il professore, non andavano condotte alle spalle degli italiani. «In base all’articolo 80 della Costituzione bisognava discuterne pubblicamente in Parlamento, che rappresenta i cittadini, garantendo la partecipazione costante dell’ordinamento italiano – spiega Cariola – Questo modo, invece, elude il fondamento della democrazia. Così è tutta l’istituzione del Muos a essere illegittima».

E non va meglio a livello regionale. Che, durante il governo di Raffaele Lombardo, ha autorizzato la costruzione delle antenne all’interno della Sughereta, un’area protetta a livello nazionale ed europeo. «Senza sottovalutare, come spesso mi è parso che si faccia, la tutela forestale – spiega Ugo Salanitro, docente di Diritto ambientale – L’area boschiva in Sicilia ha infatti un vincolo di inedificabilità nella stessa zona e fino a 200 metri». Lo stesso vincolo posto non in automatico, ma in caso di incompatibilità tra la zona e il progetto, dalle norme di tutela del paesaggio. Un divieto introdotto in modo rigido dal piano paesistico della provincia di Caltanissetta, «dopo le autorizzazioni regionali al cantiere Muos, ma prima dell’inizio dei lavori», spiega Salanitro. Tutti buoni motivi, secondo i docenti, per i quali le parabole militari non avrebbero dovuto essere innalzate.

Alla fine di ogni intervento, dal pubblico scatta uno scroscio di applausi. Tra studenti e curiosi, sono presenti anche alcuni attivisti e una delegazione di mamme No Muos. Che ascoltano attentamente, anche e soprattutto quando si parla di loro e delle loro lotte, spesso istintive e poco studiate, ma analizzate in aula da Gianni Piazza, docente di Scienza politica. «I movimenti contro le basi sono stati storicamente antimilitaristi e pacifisti – spiega il docente – Negli ultimi anni sono invece nati dei movimenti che partono da un’altra prospettiva: una dimensione territoriale». Provocati da «un uso del territorio non voluto dalla popolazione locale», la loro caratteristica è quella di riunire non soltanto attivisti, ma soprattutto semplici cittadini. «Sebbene non considerati soggetti politici, questi movimenti hanno un loro peso – continua il docente – Come ad esempio il No Dal Molin, movimento contro l’ampliamento della base Usa di Vicenza, che ha avuto un forte impatto politico: la crisi del governo Prodi fu dovuta in parte a questo, alle spaccature della sinistra nei confronti del movimento e delle sue ragioni».

Ascolta l’intervento integrale di Gianni Piazza: I movimenti territoriali contro le basi militari in Italia

Una sfida che i No Muos devono prepararsi ad affrontare, nonostante le delusioni da parte della politica regionale e lo sciopero degli attivisti niscemesi. «Io vedo due ostacoli al raggiungimento dell’obiettivo No Muos – spiega Piazza – Il rilancio della partecipazione dei cittadini e la capacità di incidere sulle istituzioni a livello sia nazionale che sovranazionale». Difficoltà che i comitati avranno tutto il tempo di superare, conclude il docente, grazia alla loro «capacità di durare nel tempo, nonostante le sconfitte e i momenti di flessione».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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