Volano stracci. E, per di più, stracci vecchi. Quando il consigliere comunale Salvo Di Salvo ha chiesto una seduta straordinaria del senato cittadino sulle finanze pubbliche non poteva immaginare che il 7 novembre sarebbe arrivato l’obbligo di dichiarare il dissesto dalle sezioni riunite della Corte dei conti. Così quello che doveva essere un appuntamento di chiarimenti è diventato il primo stress test delle recriminazioni che terranno banco nelle prossime settimane: una sorta di scaricabarile delle responsabilità. Di chi è la colpa? Di chi c’era prima? Di chi c’era prima di chi c’era prima? Di chi c’era ancora più indietro nel tempo, fino ad arrivare ad anni in cui alcuni degli eletti adesso in aula non erano neanche nati? Un rimpallo a cui è lo stesso Di Salvo a tentare di mettere fine. «Quando ci siamo insediati non avevamo le casse vuote», ammette lui, ex assessore all’Urbanistica della giunta guidata da Enzo Bianco. Poi in aula aggiunge: «Lei lo sapeva che la strada era in salita – rivolto al vicesindaco e assessore al Bilancio Roberto Bonaccorsi – E le salite vanno affrontate». Aggiungendo, in chiusura, un «gioia mia» che non guastava e che è stato anche l’unico momento di apparente pacificazione in un consiglio comunale per altri versi più che movimentato.
Il primo a prendere la parola, dopo una breve introduzione di Di Salvo (che la seduta l’aveva chiesta), è il sindaco Salvo Pogliese. Ed è lui che, senza citarlo mai, sceglie di porre l’accento su una delle assenze tra i banchi del senato cittadino: manca Enzo Bianco, ex primo cittadino e protagonista, in questi giorni, di uno j’accuse pubblico lanciato dal palcoscenico senza repliche di Facebook. «Avrei preferito confrontarmi lealmente in quest’aula – dice Pogliese – Chi oggi è assente avrebbe dovuto evitare certe esternazioni sapendo di non potere essere presente per un dibattito». A sinistra del sindaco, tra i posti destinati all’opposizione, nessuna espressione. Del resto, quando era sindaco, Bianco in aula si è fatto vedere un numero di volte che si contano sulle dita di una mano, in cinque anni di amministrazione. Ora gli «impegni istituzionali», sempre comunicati per tempo, si fanno sentire allo stesso modo. Frecciatina al suo predecessore a parte, Pogliese continua con la strada della conciliazione. «Il momento è drammatico, serve la collaborazione di tutti per invertire la rotta». L’esempio che sceglie riguarda la tassa di soggiorno, anche quella fiore all’occhiello dell’evasione tributaria in città: presto dovranno pagarla anche gli ospiti degli appartamenti adibiti a case vacanze. Una mossa da qualche centinaio di migliaio di euro, che certo però dista anni luce dalle centinaia di milioni di euro di voragine all’interno della quale sta sprofondando Palazzo degli elefanti.
A spiegarla è chiamato Roberto Bonaccorsi, in un intervento fiume che dura quasi un’ora, interrotto dalle proteste della manifestazione dei movimenti di sinistra – che da via Etnea si sposta intorno alle 20 nell’aula consiliare -, e fa registrare un aumento della temperatura in aula per via di uno scontro, molto acceso, con il capogruppo di Con Bianco per Catania Daniele Bottino. L’arringa di Bonaccorsi (che pure lui ha ceduto, oggi, al video su Facebook per replicare a Bianco) comincia dal 1993, quando i dirigenti di ruolo al Comune di Catania erano «152» e il passato spesso oggetto dei ricordi dell’ex sindaco era una primavera anche dal punto di vista contabile: accendendo mutui si potevano pagare le spese correnti. Cosa che adesso la legge impedisce. «Ho fatto i conti: dal 1993 al 1999 in media si spendevano tra i cinque e i sette milioni di euro l’anno per nani e ballerine, cioè spettacoli e feste. A legislazione attuale, quel periodo avrebbe portato 120 milioni di euro di disavanzo: senza contare che noi quei mutui li stiamo ancora pagando. All’epoca si è scelto di sottrarre alle generazioni future per dare a quelle allora presenti. Come avrebbe fatto un Robin Hood al contrario». La relazione poi va avanti: racconta di come quel piano di rientro adesso disconosciuto in realtà sia stato sposato dall’amministrazione Bianco, valutato positivamente dall’ex assessore Giuseppe Girlando e modificato, sì, ma rendendo indispensabili per la tenuta del riequilibrio misure come l’alienazione dei beni immobiliari o la vendita dell’Asec. «È come se uno andasse all’Ikea, comprasse una cucina, la portasse a casa, la montasse senza leggere le istruzioni e, quando non funziona, decidesse di prendersela con chi la cucina l’ha progettata».
È poco dopo questo punto che Bonaccorsi scatena la furia prima di Daniele Bottino e poi del presidente del Consiglio comunale Giuseppe Castiglione, nelle insolite vesti di un autorevole moderatore. «Consigliere Bottino – inizia Bonaccorsi – Non so se lei abbia scritto personalmente le note a suo nome, ma lei ritiene che qualcuno con consapevolezza abbia nascosto i disavanzi negli anni precedenti al 2012». Il vicesindaco non riesce neanche a finire il pensiero. Bottino inizia a urlare, Bonaccorsi sorride. Castiglione al microfono tenta di imporre la calma. Richiama Bottino, gli dice che potrà parlare dopo (ed effettivamente gli viene concesso di replicare per primo «per questioni personali»). Rimprovera Bonaccorsi, intimandogli di rivolgersi a tutta l’aula e non a un singolo eletto. In aula consiliare, intanto, entrano gli attivisti: parte un primo boato, poi un uomo anziano inizia a gridare contro l’amministrazione, gli agenti della polizia municipale spingono i manifestanti coi cartelli «Nisciti ‘i soddi», mentre il Movimento 5 stelle alza i suoi: «#bastaimpuniti». Ci vogliono dieci minuti di sospensione perché la seduta possa riprendere con più calma. Il primo a parlare è Bottino, per replicare al vicesindaco: «Non esiste che un assessore faccia l’interrogatorio a un consigliere – attacca – Ho sempre detto che saremmo stati propositivi, ma vengo aggredito. Non ci sono angeli, perché chi lavora può anche sbagliare. Ma errare è umano e perseverare è diabolico». Il riferimento è al ruolo di Bonaccorsi nella giunta di Raffaele Stancanelli e in quella attuale. «Chiedo ufficialmente le sue dimissioni», conclude, dopo avere promesso a Castiglione di non parlare più.
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