Dissesto, Comune a un giorno e mezzo dal baratro «Non ci dormo, come quando ero sindaco a Giarre»

«Siamo tutti molto preoccupati. Mi capita di non riuscire a dormire la notte, e non mi succedeva da un po’». «Dai tempi del piano di riequilibrio del Comune di Catania?». «Dai tempi di Giarre». Roberto Bonaccorsi non vuole nascondere le difficoltà. Dal giorno in cui si è di nuovo insediato a Palazzo degli elefanti, il vicesindaco e assessore al Bilancio ha ripetuto un ritornello il cui ritmo, adesso, è sempre più accelerato. «Serve un contributo straordinario del governo: o in finanziaria, o come emendamento alla finanziaria». Proprio in questi giorni all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri c’è la legge di bilancio dello Stato: di solito viene approvata tra l’Immacolata e Natale, ma al municipio etneo i soldi servono prima. Prima della fine dell’anno, e forse anche prima della fine del mese visto che alla fine di ottobre potrebbe esplodere una crisi di proporzioni mai viste: nessuno stipendio ai dipendenti comunali o delle partecipate (già i lavoratori Multiservizi avanzano un mese), nessun pagamento di alcun genere. Neanche alla ditta di raccolta della spazzatura, con la conseguente emergenza igienico-sanitaria facilmente prevedibile.

Vicesindaco, quanti soldi ha ancora il Comune di Catania?
«Quasi zero. Soldi non ce ne sono mai stati, la domanda corretta sarebbe: quanta anticipazione di tesoreria è ancora disponibile? Di 188 milioni di euro, sono rimaste le briciole. L’1 per cento sarebbero 1,8 milioni di euro, giusto? Ci è rimasto poco».

Quanto si riesce a pagare con questi soldi? Quanto costa, ogni mese, la macchina del Comune di Catania?
«Il Comune, da impegni di bilancio, costa un milione di euro al giorno. Al mese: otto milioni di stipendi; un milione e mezzo Multiservizi; un milione e mezzo, forse di più, Amt; due milioni e qualcosa i servizi sociali; cinque milioni e mezzo la discarica e la spazzatura; poi le manutenzioni ordinarie. La spesa corrente annuale ammonta a circa 350 milioni di euro, faccia lei il conto. Se dovessimo adempiere a tutti gli impegni di bilancio, avremmo un giorno e mezzo di vita».

Quindi il Comune non adempie.
«Il Comune di Catania è in una fase, e questo succede a tutti gli enti, in cui è in attesa di risorse. Se non arrivano presto, sarà difficile andare avanti. Circa venti milioni di euro di trasferimenti statali sono legati all’approvazione del rendiconto, che va votato insieme all’eventuale piano di riequilibrio rimodulato. La cui scadenza è fissata al 30 novembre».

Ci arrivate coi tempi?
«Se saremo ancora vivi (sorride, ndr), ci arriviamo. Ma lo faremo solo se sarà ancora utile farlo. Io l’ho detto dal primo giorno: se non arriva un contributo straordinario, il Comune non regge. L’unico elemento che serve a riportare in equilibrio i conti, visto che l’ente è strutturalmente deficitario, è uno stanziamento eccezionale».

Cioè i 400 milioni chiesti al governo. Con un milione e 800mila euro in cassa, mi passi l’affermazione a-tecnica, però il Comune non riuscirà neanche a pagare gli stipendi di ottobre. Che succede in questo caso?
«Il punto non è arrivarci a ottobre oppure no, perché il Comune potrebbe avere delle entrate proprie che lo aiutano a tirare avanti. Il fatto è che non si può programmare l’azione amministrativa se ogni mese è uno stillicidio».

Poniamo che non ci fossero entrate o che non bastassero. La legge parla anche di questo.
«È esattamente la previsione dell’articolo 244 del Testo unico degli enti locali per acclarare il dissesto: se non puoi sopportare neanche le spese essenziali, il Consiglio comunale deve dichiarare il default. La procedura è sempre uguale, si segue un percorso già tracciato».

Quindi comunque il Comune non ce la fa.
«No, non ce la facciamo. Ripeto: senza il contributo straordinario dello Stato, in tempi brevissimi, il Comune è in dissesto. E questa non è una condizione da dichiarare, è semplicemente un fatto di cui prendere atto. Io dico le cose come stanno. Mi piacerebbe dirle in Consiglio comunale, come ho sempre fatto, ma siamo in una impasse dovuta sia alla nuova amministrazione sia a queste scadenze».

Il 7 novembre è stata fissata l’audizione del Comune di Catania alle sezioni riunite della Corte dei conti, dopo la quale verrà emesso il dispositivo della sentenza: basterà quello per conoscere l’indirizzo della magistratura contabile.
«Il dispositivo è atteso per la stessa sera o per l’indomani. Ritengo che le sezioni riunite non possano non tenere conto dell’emendamento al Milleproroghe (l’ennesimo SalvaCatania, ndr) e, di conseguenza, rimandare gli atti alla sezione di controllo per la Sicilia. Siamo in una situazione di stand-by che non mi lascia sereno: quando non puoi governare gli eventi, sono gli eventi a determinare l’agenda».

Se il Comune dichiarasse il dissesto, quanto tempo ci vorrebbe per venirne fuori?
«Si fa un bilancio stabilmente riequilibrato, e tutte le passività pregresse passano alla gestione della commissione di liquidazione».

Ci sono casi in cui i creditori, nonostante il dissesto, sono stati pagati al cento per cento.
«Ma non accadrà a Catania. L’ammontare dei debiti è talmente alto che il Comune non potrà mai rimpinguare a sufficienza la massa attiva necessaria a pagare i debiti. Quindi è molto probabile che l’organo straordinario di liquidazione proponga un saldo a stralcio».

In tutto questo tempo, una cosa non si è ancora capita: ma lei lo vuole questo dissesto oppure no? È meglio o è peggio?
«Meglio o peggio per chi? Poniamoci questa domanda. Quello che tu risparmi è un credito a cui rinuncia qualcun altro. Se tutti venissero pagati al cento per cento, cambierebbero soltanto le tempistiche del riequilibrio. Immaginare che il dissesto sia una pratica discrezionale, cioè qualcosa che uno sceglie, fa pensare che ci sia qualcuno che ci sta guadagnando. Dimenticando, però, che c’è qualcun altro che ci sta perdendo. Per me non è etico, perché il danno è nei confronti di chi ha posto fiducia in un ente pubblico, di chi si sentiva garantito. Io mi immedesimo in chi, domattina, dovrà cancellare dei crediti iscritti in bilancio, dovendo portare i libri contabili in tribunale o non potendo pagare gli stipendi. Finché il credito è esigibile rappresenta comunque una garanzia, anche bancaria. Dopo il dissesto, quel credito diventerà inesigibile in tutto o in parte. Allo stato attuale, il Comune ha debiti verso aziende per circa 250 milioni di euro».

Che succederà alle partecipate?
«Chi vive del suo, sopravviverà. Mi riferisco a Sostare e Sidra. Le altre dovranno attingere al proprio patrimonio per non fallire. Ma potranno anche non accettare l’eventuale accordo proposto dall’organo straordinario di liquidazione e attendere la fine della procedura di dissesto, per rimettersi in coda e aspettare il saldo integrale di quanto dovuto. Potranno volerci cinque, dieci anni. Probabilmente di più».

Luisa Santangelo

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