Disagio minorile, a Catania arriva il “buono” che taglia

«Ecco signora, guardi: noi del Comune abbiamo deciso di migliorare il servizio. Adesso suo figlio ha diritto al pranzo, solo 3 volte a settimana, e a 4 ore di lezione di danza, tre volte al mese». Non è una barzelletta, ma quanto potrebbe accadere all’assistenza comunale per i minori in stato di “disagio socio-economico” dopo l’approvazione in giunta comunale del “Piano territoriale degli interventi per l’infanzia e l’adolescenza”. Tutto questo nella città con il più alto tasso di delinquenza minorile (primato assoluto che la tanto bistrattata Napoli non ci ha mai tolto negli ultimi 21 anni. Vedere dati dei CPA di Catania).

Fino ad oggi il Comune di Catania, secondo quanto previsto dalla legge regionale 22 del 1986 ha garantito, seppure a un esiguo numero di minori – circa 900 bambini fino a i 16 anni – l’assistenza quasi totale, con uno “sgravio” di centinaia di euro nei bilanci mensili delle famiglie. Famiglie spesso non “povere” soltanto, ma disgregate, o mai nate, formate anche da genitori non in grado di provvedere a se stessi, figurarsi ai figli. Per molti minori, emarginati nelle scuole – dicono gli operatori – gli Istituti assistenziali sono l’unico luogo dove sentirsi accettati e “a casa”. Questo ha significato che il Comune, che non ha sue strutture autonome per garantire i servizi, obbligatori, ha pagato gli istituti socio-assistenziali a gestione privata per provvedere alle necessità dei ragazzi: trasporto, libri, pasti, doposcuola e attività pomeridiane. La spesa per questo servizio, a quanto dichiarato dal vecchio assessore Belluardo, è di 8 milioni di euro, cioé circa 30 euro al giorno a minore per l’intero anno (dal lunedì al sabato, esclusi i festivi). Un settore fondamentale, per il quale il Comune ha deciso ora di tagliare o meglio “razionalizzare” con un sistema di “buoni del disagio”, sorta di tessere raccolta punti, che l’assessore Pennisi, professore universitario, chiamato a gestire la complicata situazione dell’assessorato – vedi lo scandalo della megatruffa sull’assistenza agli anziani – ha presentato con un nome francesistico, “voucher”. Spese dimezzate, servizi decimati. Con conseguenze nefaste sia per i minori, che per gli istituti, che fino ad oggi hanno gestito il servizio con i fondi della già citata legge regionale 22 del 09/05/1986. I voucher però andranno attivati con i fondi della legge 285, per un totale di 2 milioni e 300mila euro, secondo quanto dichiarato a “La Sicilia” (vedi l’articolo in pdf). A parità di servizio, quindi, potrebbero essere assistiti poco meno di un terzo dei minori.

Resta da capire che fine facciano i fondi regionali garantiti, visto che ancora non siamo in regime di “federalismo fiscale”, dalla legge 22 del 1986. Gli Istituti socio assistenziali catanesi sono in fase di allarme per la situazione, e la sigla “Uneba” che raccoglie la maggioranza degli istituti catanesi (nove su sedici), ha lanciato pubblicamente “l’atto d’accusa” all’amministrazione comunale, soprattutto per quanto riguarda i livelli occupazionali da garantire (vedi articolo della Gazzetta del Sud che però fa molta confusione tra “disagio” e “disabilità”). Circa 300 dipendenti sparsi per 16 istituti. L’amministrazione comunale dal canto suo garantisce che “gli Istituti non verranno chiusi”, come dichiarato pubblicamente dalla dottoressa Rossella Schembri, intervenuta in qualità di portavoce del Sindaco Stancanelli e del’assessore Pennisi a un recente dibattito sul disagio minorile tenuto proprio nella sede Uneba. Finora il Comune, a parte un bando per la gestione di centro diurno, non si è ancora mosso concretamente per il prossimo anno scolastico, non avendo ancora nemmeno comunicato i termini per la presentazione delle domande di assistenza da parte dei genitori. Sì, perché l’assistenza viene fornita solo a chi presenta domanda, i servizi sociali non sono in grado di sondare il territorio alla ricerca della totalità delle situazioni di disagio. Ma questa, è un’altra storia, ancor più complicata…

Leandro Perrotta

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