Dis- appuntamento con le star

Ho passato nove giorni – nove – con la direzione artistica del festival. Il tempo di bilanci arriva anche per me, quindi, e vorrei fare considerazioni di vario genere e natura.

Una breve premessa: il mio compito era di assistere i giurati internazionali durante la visione del film, accertarmi che vedessero la pellicola per intero, che la stessa non desse problemi e “coccolarli” qualora avessero bisogno di qualcosa, anche se molte volte mi sono stati chiesti vari straordinari che non rientravano nell’accordo (non scritto, purtroppo) pre-stage.

Eccovi qualche aneddoto sparso. Avvertenza: ciò che sto per scrivere talvolta potrebbe abbassarsi al rango di gossip:

Dis-appuntamenti con le star / L’indigestione di politically correctness.
1 Hugh Hudson – Accolgo Hugh Hudson e consorte all’hotel Timeo (per chi non lo sapesse un albergo con un numero dispari imprecisato di stelle, con vista a strapiombo sul mare) al loro arrivo. Si dimostrano immediatamente gentili e soddisfatti del posto, del viaggio e della camera e si congedano rassicurandomi che non avrebbero avuto bisogno di me. Non ho nemmeno il tempo di sedermi in ufficio che arriva una telefonata. Camera troppo vicina alla cucina, ergo diamo loro la suite. Questo è ciò che chiamerei “essere esigenti”.

2 Laura Morante – L’unica cosa che mi ha dato fastidio è stata la sua consueta mancanza di puntualità agli spettacoli. Il caso eclatante è stato il suo ritardo di circa mezz’ora ad una proiezione ultra riservata ai giurati che doveva aver inizio alle 14.30. Risultato: alle ore 16 una marmaglia informe di gente visibilmente alterata attenteva ancora di prendere posto.

3 Malcolm MacDowell – No, nulla, lui è gentilissimo e simpaticissimo, oltre che sempre disponibile a foto e chiaccherate con i fan. Solo che sua moglie cercava un passeggino per il piccolo, ma dal momento che i negozi di Taormina non aprono ad orari consoni, non sapevamo come risolvere il problema.

4 Andie MacDowell – Nulla nemmeno nei suoi confronti, ma il primo giorno l’ho vista blindata da un terzetto di gorilla, il giorno dopo l’ho notata a passeggio da sola. Evidentemente non era stata riconosciuta da molte persone. Questa storia della squadra di basket a farle da protezione m’ha fatto sorridere e volevo condividerla con qualcuno.

N.B.: Ho parlato sia con Hudson che con la Morante e -ovviamente- ho avuto modo di ricredermi su queste “negative” prime impressioni. Sono entrambe persone gentili -soprattutto se prese in un contesto di non assedio- , solo che ho avuto a che fare con i loro rispettivi cinque minuti, tutto qui.

– This room is on fire / L’ufficio della direzione artistica:
1 Le ragazze della direzione – Nell’ufficio noi stagisti lavoravamo con persone più qualificate che avevano avuto esperienze organizzative precedenti. Mai stato in un ambiente così irrespirabile. Queste ragazze erano di sicuro esperte, ma c’erano troppe faide interne. È chiaro che lo stress si faccia sentire, ma ho visto scene al limite della schizofrenia, sul serio, e non sono stato l’unico a notarlo (ad esempio Steve Della Casa era a tratti palesemente sconvolto dall’isteria dominante lì dentro e, sono certo, ne avrà viste tantissime nel corso degli anni).

2 Lo spreco di carta – È la cosa che più m’ha impressionato. Fogli e fogli buttati per delle prove, per stampare segnaposto ed elenchi che sarebbero stati cestinati. Ho addirittura portato a casa una risma di fogli inutilizzati per riciclarli. M’ha dato fastidio sapere che una moltitudine di alberi è stata sprecata per…

3 La fabbrica della mondanità – Uno spreco di energie inutile. Che senso ha organizzare le cene di lusso per gli ospiti se poi i film sono quelli che sono? D’accordo la cerimonia, lo capisco, ma i segnaposto, voglio dire… i segnaposto per il ristorante sono più importanti del concorso? (per le domande senza risposta visionare l’articolo di Davide Brusà).

4 Il programma – Chi è il genio che ha creduto che una proiezione di 123 minuti potesse entrare nell’arco di tempo 14:30 – 16:00?

In ogni caso, non avevo idea di quanto potesse essere complicata l’organizzazione di una manifestazione. Di certo non saranno stati i giorni più rilassanti della mia vita, ma ho avuto modo di impare moltissimo in un lasso di tempo piuttosto breve.

Il festival del cinema di Taormina non è sicuramente più quello degli anni ’50 e questo “declino” ha forse trasformato la manifestazione in una rassegna per esordienti. E proprio nei registi ed attori alle prime vere esperienze ho potuto vedere l’emozione e la passione assente nelle “star” affermate. La timidissima Izabella Miko e il regista Robinson Savary (“Bye-Bye, Blackbird”) che, dopo la visione del film, erano ansiosi di sapere il riscontro del pubblico dai ragazzi addetti alla giuria popolare. Oppure Caveh Zahedi che si è fermato a parlare con gli spettatori dopo il suo “I Am a Sex Addict” disponibile anche per le critiche. O Thomas Ikimi, regista di “Limbo”, che ha assistito a tutti i film in programma, sia quelli in sala A, che in sala B, che quelli in replica la mattina.

A mio avviso un festival che si propone come tappa per il cinema internazionale dovrebbe privilegiare la presenza di autori di poca notorietà ma di talento, soprattutto in condizioni low-budget. Forse si potrebbe iniziare riducendo il numero di cocktail party?

Luigi Forte

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