Dirigenti regionali: o al soldo della politica per organizzare ‘operazioni’, o a casa!

IERI, A PALERMO, PRESSO IL CENTRO ARRUPE, UN CONVEGNO SUL FUTURO DELLA DIRIGENZA DELLA REGIONE SICILIANA. L’OCCASIONE PER AFFRONTARE UN TEMA SPINOSO. SOPRATTUTTO CON UN GOVERNO REGIONALE CHE PRIVILEGIA GLI ‘ESTERNI’ PERCHE’ PIU’ MALLEABILI…

Il convegno promosso ieri a Palermo da un gruppo di dirigenti regionali nell’aula magna dell’Istituto Arrupe, ha avuto uno sviluppo dibattimentale di alto profilo, ma una partecipazione assai insignificante. Non può, infatti, non essere rilevato che su 1775 unità che compongono nel complesso la dirigenza regionale erano presenti al dibattito circa cinquanta dirigenti.

La cosa non deve preoccupare la politica siciliana, né le organizzazioni sindacali di categoria perché se il numero dei dirigenti regionali che avvertono l’esigenza di cambiamento esprime questa partecipazione attiva sarà ben difficile che le cose in concreto cambieranno.

Andiamo al convegno. E’ fuori discussione la qualità delle relazioni presentate dai tre docenti dell’Università di Palermo e da un alto dirigente dell’apparato amministrativo regionale sulle ragioni degli assetti della pubblica amministrazione decisi dalla politica nazionale a seguito dei disastri che la vecchia gestione aveva procurato con Tangentopoli.

I tre docenti – i professori Antonino La Spina, Alessandro Bellavista e Lorenzo Saltari – hanno affrontato, ognuno, da una particolare angolazione, le cause che hanno portato alla nuova concezione della dirigenza pubblica, nonché i limiti di questa nuova concezione e le conseguenti degenerazioni funzionali. Fenomeni che in Sicilia sono stati aggravati dalla disastrosa legge regionale n. 10/2010.

Le questioni più rilevanti sollevate dai relatori, in estrema sintesi, riguardano la natura dell’incarico, la durata e i requisiti professionali.

La natura dell’incarico. Questo viene assegnato su basi fiduciarie (clientelari) e quindi lega l’azione del dirigente non tanto all’applicazione della legge secondo l’oggettività che essa presuppone nei confronti di tutti i cittadini, ma secondo criteri che favoriscono il suo dante causa, l’assessore che lo ha nominato.

La durata è di solito assai breve per la cui ragione il titolare dell’incarico al fine di ottenere il massimo della valutazione non persegue la programmazione del suo lavoro, ma lo traguarda al gradimento di chi lo deve giudicare, ovvero il valutatore che, solitamente, è pure nominato dall’assessore.

La professionalità, se la natura dell’incarico è fiduciaria, non avviene in base ai requisiti professionali; di conseguenza le capacità professionali perdono di qualsiasi valore.

Con questi presupposti i pasticci sono davanti agli occhi di tutti e l’inefficienza amministrativa dilagante.

Per non parlare dei dirigenti generali ‘esterni’ i quali nei confronti dell’amministrazione non hanno nemmeno lontanamente la cultura della terzietà. Come qualsiasi operatore privato, la sua azione è mossa dall’interesse di parte e, spesso, personale.

Ecco la ragione per la quale queste figure sono molto richieste dalla politica siciliana: perché garantiscono sia il singolo assessore, sia lo stesso presidente della Regione. In pratica, i governanti di turno sanno che l’azione dei tanto richiesti’ dirigenti ‘esterni’ all’Amministrazione sarà contrassegnata dal perseguimento preferenziale dei loro particolari interessi politici.

Proprio questa è la finalità principale per la quale la politica, sconfitta ai tempi di ‘Mani pulite’, ha individuato nel metodo nella separazione tra politica e amministrazione la via maestra per gestire la cosa pubblica. Ufficialmente, la politica dovrebbe dare gli indirizzi, mentre i dirigenti dovrebbero amministrare.

In pratica, la politica gestisce attraverso i dirigenti fidati. Questo secondo le leggi nazionali Bassanini e la già citata legge regionale n. 10 del 2000 che, in buona parte, ha recepito le stesse leggi Bassanini (peggiorandole con trovate assurde, come la promozione di 2 mila dirigenti in una notte e la creazione dell’ormai ‘mitica’ terza fascia dirigenziale, unica al mondo nel suo genere).

In questo senso, la riforma voluta dall’ex ministro Renato Brunetta è stata un capolavoro strategico: la responsabilità dei manager è diventata totale e generosamente compensata, ma la loro autonomia viene vincolata sia nella durata che nella discrezionalità alle esigenze della politica.

Da qui la scelta su basi fiduciarie ed a tempo, nel senso che se non segui i miei interessi di rimuovo dall’incarico che ti ho affidato, tanto per essere chiari.

A questo proposito, durante la discussione è stato ricordato il metodo anglosassone. Secondo il quale gli incarichi sono si fiduciari, ma la loro durata è sempre superiore a quella di chi l’incarico lo affida. Ciò per l’ovvia ragione che avuto affidato l’incarico fiduciario il titolare non dipende più dagli umori del suo mandante ed è libero d’impostare il suo lavoro secondo i suoi criteri ispiratori.

A proposito della dirigenza affidata ai privati ‘esterni’ all’Amministrazione, è stato ricordato il ‘metodo Zamparini’ applicato alla Regione siciliana.

Il presidente della Palermo Calcio, è noto, assume gli allenatori con contratti allettanti, altrimenti nessuno accetterebbe di lavorare assieme a lui; ma appena non riscontra i risultati ottenuti li fa fuori, mantenendo comunque il contratto che è a carico della società.

Alla stessa maniera gli assessori nominano i loro dirigenti generali con contratti assai generosi, poi li sostituiscono quando non rispondono agli obiettivi secondo loro non conseguiti, ma i contratti continuano ad essere rispettati sino alla loro scadenza, tanto paga la Regione non certo l’assessore! E la Regione continua a pagare a vuoto lauti stipendi a dirigenti dei quali se ne farebbe volentieri a meno.

Ovvero, a proposito di requisiti professionali, alla loro carenza si rimedia nominando il dirigente ad un incarico anche se questo non ha i requisiti professionali. Una volta insediato – come questo giornale ha più volte scritto – i requisiti mancanti li acquisisce e pertanto, da quel momento, diventa idoneo all’incarico stesso.

Di fatto, è un imbroglio che, però, non è mai stato censurato né dalla Corte dei Conti, né dall’Ufficio del Commissario dello Stato. Tutte manipolazioni mistificanti e corruttive che, come conseguenza, portano al costante degrado della qualità amministrativa dell’apparato regionale.

Vediamo adesso più da vicino la composizione della dirigenza regionale. Essa si compone di 1775 unità delle quali 2 appena sono i dirigenti di prima fascia, 42 quelli di seconda fascia a cui si aggiunge, caso unico, come già ricordato, la terza fascia che per differenza comprende le restanti 1731 unità.

Da considerare che quest’ultima fascia è transitoria (è transitoria dal 2000!) e che dovrebbe potere essere collocata nelle fasce superiori, le uniche riconosciute universalmente accettabili. Solo che la terza fascia è rimasta una soluzione permanente.

Anche qui la ragione di fondo è da ricercare nell’assenza di qualsiasi forma di programmazione regionale dalla cui assenza discende il mancato approntamento della pianta organica funzionale alle finalità programmate. In altri termini, alla Regione siciliana si vive alla giornata.

Fin qui i temi trattati nella riunione dei dirigenti e degli esperti. Non può essere taciuta l’assenza dei rappresentanti sindacali, sia perché non invitati ufficialmente, sia perché, ove lo fossero stati, non avrebbero avuto gran che da dire, come del resto fanno da sempre.

Veniamo adesso alla questione sul tappeto, il contratto. Di questo argomento non si discute per via del contenimento della spesa e del conseguente sfoltimento dell’apparato amministrativo. Va necessariamente rilevato che l’apparato regionale è elefantiaco e la sua riduzione è senz’altro necessaria. Tuttavia, in Sicilia più che ridurre gli apparati amministrativi, Regione in testa, si vanno creando frotte di precariato (leggi, clientelismo) a mandate successive.

Appena risolto, con la ‘stabilizzazione’ un’ondata di precari se ne crea una nuova alla faccia della Costituzione italiana che, com’è noto, prevede concorsi pubblici per l’accesso alla pubblica amministrazione. Di bandire normali concorsi per il reclutamento delle qualifiche professionali occorrenti alle varie amministrazioni, insomma, non se ne parla.

In Sicilia, fino ad oggi, la politica (intendendo con tale accezione non soltanto i politici, ma anche i sindacalisti, per lo più di Cgil Cisl e Uil, storicamente ‘consociativi’ con tutti i Governi) ha assunto migliaia di precari per chiamata diretta. Clientelismo allo stato puro, insomma. Questi precari, mantenuti per anni, mediante rinnovi periodici dei contratti, alla fine venivano ‘stabilizzati’, in barba, come già detto, alla Costituzione.

Questo metodo – che ormai è fallito non per volontà della politica siciliana, ma perché la Regione è ormai in dissesto finanziario non dichiarato – ha raggiunto in pieno l’obiettivo di rendere docile ai voleri della politica le prestazioni dei lavoratori della pubblica amministrazione. Nel senso che i pubblici funzionari e i dirigenti – tranne rari casi – anziché rispondere dei propri atti ai cittadini, sono costretti a piegarsi alle esigenze personali dei politici di turno.

All’onorevole presidente della Regione Rosario Crocetta che, da quando si è insediato, sembra avere dichiarato una guerra personale ai dirigenti regionali di ogni ordine e grado (quasi tutti i dirigenti della Regione sono oggi senza contratto), ci permettiamo di suggerirgli una ricetta, questa sì, rivoluzionaria: appronti una riforma della Regione che non preveda il potere di gestione da parte del Governo e dei singoli assessori. Conferisca a costoro soltanto la competenza di programmazione ed indirizzo delle politiche da perseguire e si riservi il compito ispettivo rispetto ai risultati ottenuti dagli enti territoriali incaricati della gestione degli interventi sul territorio. In ipotesi i nuovi enti intermedi: i liberi Consorzi di Comuni. Si accorgerà che la Regione non avrà più bisogno dell’apparato gigantesco che compone i suoi uffici.

Attraverso questa nuova configurazione delle competenze regionali, unitamente al trasferimento delle somme dalla Regione agli enti territoriali, si dovranno trasferire sul territorio anche le risorse umane necessarie ad attuare i programmi d’investimento. Questa sarebbe l’occasione buona per realizzare lo sviluppo dell’economia locale.

Ci rivolgiamo direttamente al Presidente della Regione perché egli si è dichiarato ‘rivoluzionario’. Il nostro invito è teso a fargli dimostrare, coi fatti, che lo è davvero.

 

Riccardo Gueci

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