Si consumano per lo più tra le mura domestiche e il carnefice è spesso il marito o il compagno. Si tratta di casi di violenza contro le donne, un problema in continuo aumento. Ne abbiamo discusso con l’avvocata Carmen Currò, fondatrice e presidente del CeDav, il centro donne anti-violenza di Messina nato con l’obiettivo di offrire sostegno sociale, psicologico e legale gratuitamente. Negli ultimi tempi il centro, il più antico della Sicilia, ha incontrato non poche difficoltà: dalla mancanza di una sede fissa alla carenza di fondi. Chiuso anche il sito internet perché troppo costoso. Di recente è arrivato qualche segnale positivo: da circa un anno e mezzo è stato attivato un protocollo d’intesa tra diverse istituzioni – 25 in tutto tra uffici giudiziari, pronto soccorso, asp e Comune -, coordinato dalla prefettura per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere. Un segnale positivo, appunto, ma che non basta.
«Stiamo cercando di veicolare al territorio un messaggio: per combattere il problema non si può lavorare da soli, ma in rete – dichiara Carmen Currò – Si parla tanto di violenza ma manca la mentalità e gli investimenti sono insufficienti. Solo da quest’anno anno si sta muovendo qualcosa. In passato si organizzavano le giornate contro la violenza ma erano fini a sé stesse, perché non si traducevano in politiche strutturali di contrasto». Così il cambiamento si cerca di portarlo avanti dal basso. Una volta, quando le donne maltrattate andavano al pronto soccorso con chiari segni di violenza ma raccontando di essere cadute dalle scale, spesso nessuno faceva domande e tutto finiva lì. Oggi, grazie alla collaborazione con il CeDav, se ci sono sul corpo segni incompatibili con una caduta parte il protocollo di intervento.
Il centro offre anche corsi di formazione rivolti alla rete di operatori degli enti coinvolti ma, a causa degli scarsi mezzi economici, non può invece assicurare un supporto telefonico 24 ore su 24. In generale, quello che manca al CeDav sono certezze, a partire da una sede fissa. Dopo essere stato ospitato presso due immobili offerti dal Comune, è stato poi dislocato in edifici in affitto e in seguito, per carenza di fondi, ospitato in un edificio offerto in comodato d’uso gratuito da parte di privati, dove risiede attualmente. Dopo anni di attività nomade, una speranza per il centro è arrivata da un bando comunale vinto.
Intanto, tra le difficoltà, il Cedav va avanti. Soprattutto con la sua attività primaria: l’ascolto e l’aiuto alle vittime di violenza. Il primo contatto avviene attraverso una telefonata: la donna chiama il numero di assistenza e racconta la sua storia all’operatrice volontaria, parte del personale specializzato. Il secondo step prevede un appuntamento dal vivo con dei professionisti. Chi chiama il centro nel 90 per cento dei casi è vittima di violenza intrafamiliare o di stalking e ha un’età media tra i 25 e i 30 anni. In aumento le donne migranti. «Rispetto al passato l’età media si è abbassata e c’è una reazione più immediata contro la violenza – racconta Carmen Currò – Una volta si subiva per anni, aspettando che i figli crescessero prima di allontanarsi dal compagno. Ma ancora oggi spesso la donna che denuncia non viene creduta dai propri familiari e prova vergogna per il fallimento del suo rapporto».
Così sono tante le donne che ritirano le loro denunce per paura di perdere i figli. «Non manca chi chiede aiuto e poi sparisce, soprattutto quando il compagno è benestante – continua l’avvocata – temono che possa ottenere l’affidamento dei figli». Nei casi più disperati le donne lasciano la casa o devono andare via da Messina perché perseguitate dall’ex partner. A quel punto si attiva la rete nazionale delle case rifugio, dove la vittima può trovare ospitalità.
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