Diario di una matricola

Questa è il primo resoconto della nostra matricola preferita. Si parte dall’incontro con un personaggio mitologico del Monastero, il parcheggiatore-abusivo. 

Caro diario,

l’Università è una cosa strana. E io ancora non l’ho ben capita. Mi hanno detto che ancora sono troppo matricola per arrivare alla comprensione degli equilibri universali che regolano la vita di facoltà, quindi, per il momento, mi limito ad osservare con atteggiamento distratto.

Qualcosa, però, è già entrata a far parte del mio bagaglio conoscitivo: è impossibile seguire tutte le materie, a meno di non esser uno e trino, o uno e quadruplo, o quintuplo.

L’Università, ribadisco, è una cosa strana. Soprattutto per chi ci entra per la prima volta.

Il Monastero dei Benedettini e l’area ad esso circostante devono essere intrappolati in un mondo parallelo nel quale vigono leggi sconosciute ai più.

L’ebbrezza di cercare posteggio con la macchina ancora non l’ho provata, ma l’emozione delle strisce bianche per il motorino non ha tardato a rendermi felice.

Arrivi alle otto meno venti, ad esempio, e fermi lo scooter in piazza, perfettamente ordinato in fila con molti altri. Nemmeno il tempo di toglierti il casco, che il posteggiatore-abusivo (rigorosamente tutto attaccato) si presenta con la mano tesa e il sorriso sornione. Paghi dopo, dici, perché prima di compiere qualsiasi azione hai necessariamente bisogno di un caffè. Controlli l’orario e ti rendi conto, con soddisfazione, di essere in anticipo.

Ma cos’è quella? Cos’è quella massa informe di studenti accalcata davanti all’aula dove, tra un quarto d’ora, dovrà cominciare la tua lezione?

Ti avvicini furtivamente, nel frattempo prendi la tua agenda dove hai segnato ogni dettaglio che possa esserti utile a districarti tra i vari impegni da neo-universitaria, e controlli di non essere in errore.

No, non sbagli. E’ proprio la A/1.

Ti infiltri, passi sotto l’ascella sudata di un troll di dimensioni considerevoli, tra le gambe di un paio di ragazze che fumano l’ultima sigaretta prima delle dieci, strisci per terra, evitando gomme masticate, volantini elettorali della recente tornata elettorale e balle di polvere della stessa consistenza del fieno. Se hai fortuna, trovi posto sui corpi degli eroici colleghi morti di stenti nel tentativo di accaparrarsi una posizione con una visuale decente.

A questo punto, non ti resta che sperare che il professore si presenti. E non hai nemmeno bevuto il caffè, giacché la ressa per il posto ha catalizzato la tua attenzione non appena varcata la soglia dell’ex Monastero.

Se il luminare di turno decidesse di presenziare a lezione, un sorriso trionfante distinguerà le matricole dagli altri studenti. Se, al contrario, l’uomo saputo avesse ben pensato di rimanere a casa, il grugno inferocito sarà uguale per tutti.

Mal comune, mezzo gaudio, pensi. Poi ti ricordi che giusto quel giorno avresti dovuto seguire solo quella lezione e, piuttosto che stare a crogiolarti tra le lenzuola, hai spento la sveglia quando ancora non c’era luce… Ecco, allorché rimembri che il programma di Marzullo non era finito quando sei uscita di casa, non hai alcuna voglia di gaudere.

Attraversi il cortile con l’atteggiamento di una comparsa del video “Thriller” di Michael Jackson, intimidisci con uno sguardo quelli che “Scusa, posso dirti una parola?” e ti dirigi all’ingresso. Dribbli con estrema precisione i distributori professionisti di volantini, che riescono comunque, non si capisce come, a ficcarti in mano l’equivalente della foresta amazzonica in carta e poi sei fuori.

Vai a recuperare il mezzo di locomozione, e il posteggiatore-abusivo si materializza al tuo fianco. Stremata, gli porgi cinquanta sudatissimi centesimi, lui non ti saluta, si volta dall’altra parte e, correndo, urla:
“Signorì, scusi eh. Corro ché mi stanno scappando i motorini senza pagare!”

Luisa Santangelo

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