È stato pubblicato ad Aprile, il romanzo “Diario di scuola” di Daniel Pennac ma sta dilagando in Italia solo adesso. Acquistato dagli insegnanti per tenersi al passo ed entrare nel cuore dei propri studenti, dagli specializzandi delle scuole di formazione per addentrarsi meglio nelle materie pedagogiche attraverso una lettura più leggera dei tanti voluminosi saggi proposti dalle università, dagli studenti di tutta Europa che si sentono per la prima volta protagonisti e “compresi”.
Con uno stile molto frivolo e semplice, quasi estivo, lo scrittore francese, vincitore del premio internazionale Grinzane Cavour “Una vita per la letteratura” nel 2002, si lancia nella scommessa con se stesso di passare allo scanner la figura dei somari, una categoria a cui egli stesso si sente di appartenere e proprio in virtù di questa immedesimazione riesce meglio a comprendere. Accusa nel testo “l’assoluta incapacità dei professori di capire la condizione di ignoranza in cui si trovano i somari, dal momento che loro stessi erano buoni studenti, almeno nella loro materia” (pag 236). Perché insegnare è proprio questo: “ricominciare fino a scomparire come professori”.
Suddiviso in tanti miniparagrafi, abbastanza connessi, a volte attraverso flashback, a volte con digressioni, per agevolare ed invogliare la lettura ai reali destinatari del libro: gli stessi somari ai quali invia il messaggio “non siete soli, né i primi, né gli ultimi” e c’è ancora qualche speranza di redenzione. E con qualche spunto di riflessione, svelando i segreti del mestiere, grazie alla ventennale esperienza come docente. Tra questi, l’idea di “filmare la loro adolescenza così com’è, al di là delle apparenze, renderli autori di riprese e interviste tra se stessi per poi rivedersi all’infinito ed auto commentare il proprio atteggiamento” o il consiglio di non usare mai un tono più forte di loro nel parlare o ancora l’importanza dell’appello “per prendere la temperatura mattutina della classe”. Così facendo, l’autore scardina l’idea che si possa insegnare senza difficoltà, derivante dalla rappresentazione idealizzata dello studente, sempre modello, attento, interessato, ma in effetti solo una piccola percentuale di fronte alla realtà dei casi.
Nel testo non mancano riferimenti di critica alla nostra società, dominata dal cyberspazio e del consumismo smoderato, in cui si ha paura di essere minacciati da ciò che non è fatto con lo stampino. Ma, come ci insegna la metafora conclusiva dei ragazzi, solo le rondinelle che si distaccano dallo stormo, non si andranno a schiantare sul vetro delle finestre perché avranno avuto il coraggio di dissociarsi dalla massa.
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