Di Girolamo e la ricerca del boss Messina Denaro «Ecco perché penso che oggi abbia vinto Matteo»

Dalla ricerca del super latitante Matteo Messina Denaro alla «antimafia dirigente» di Libera. Passando per la «parodia della trattativa Stato-mafia». È lucido e sferzante il giudizio di Giacomo Di Girolamo, giornalista che si occupa di criminalità organizzata e corruzione per il portale TP24.it e per la radio RMC 101. Di Girolamo è anche autore del libro Contro l’antimafia, edito da Il Saggiatore, in cui si rivolge al più importante latitante di Cosa nostra, il boss invisibile Matteo Messina Denaro. Che oggi, nella partita contro lo Stato e la cosiddetta società civile, secondo il cronista sembra essere in vantaggio.

Di Girolamo, lei si definisce un giornalista residente, perché?
«Perché non mi piace essere definito un giornalista resistente. Sembra che solo i coraggiosi possano raccontare ciò che racconto io: della mia città e della provincia in cui vivo. Credo che sia naturale per me farlo, per questo ci tengo a sottolineare di essere un giornalista residente».

Perché nel suo libro e nella sua trasmissione radiofonica, Dove sei, Matteo?, dà del tu al boss di Cosa Nostra?
«Matteo Messina Denaro e io siamo cresciuti nello stesso territorio, abbiamo frequentato gli stessi locali e ascoltato la stessa musica. Abbiamo molte cose in comune, per questo lo chiamo per nome, è anche un modo per esorcizzare la paura del mostro».

Da dove percepisce la presenza di Messina Denaro nella provincia trapanese e perché è ancora un territorio così importante per la mafia?
«Lo vedo dappertutto. Matteo Messina Denaro è l’essenza di questa provincia, la nostra classe dirigente ne è un esempio. La mafia nel trapanese è molto simile alla ‘ndrangheta, è più impenetrabile, tant’è che nella famiglia di Messina Denaro non ci sono pentiti, è una mafia legata alla terra come le ‘ndrine».

È così importante sapere dov’è Matteo? O la ricerca ci fa perdere qualcosa che ci sfugge?
«No, non è importante sapere dove si trova Matteo. Per me lui è solo un pretesto narrativo per raccontare il mio territorio».

Nel suo ultimo libro Contro l’antimafia scrive che, nonostante crescano a dismisura i libri sulla mafia, paradossalmente aumenta il silenzio su chi la mafia la racconta davvero. Perché succede?
«Dal 2000 a oggi, secondo i dati del Servizio bibliotecario nazionale, sono stati pubblicati 450 libri che parlano di mafia. Il racconto che noi facciamo della criminalità organizzata è in realtà molto consolatorio e rientra anche nei canoni del politicamente corretto. Quello che sfugge è il territorio, non interessa più a nessuno, è scomparso dai giornali e dalla saggistica, e chi lo racconta viene tremendamente isolato perché da un lato manca un’editoria seria, dall’altra manca a livello locale un’opinione pubblica».

Lei scrive che l’associazione antimafie Libera ha avuto il merito di sollevare questioni importanti, ma che oggi non è più la stessa, somiglia di più a una specie di lobby, perdendo così di vista la vera lotta alla criminalità organizzata. Cosa dovrebbe fare sostanzialmente Libera per cambiare? Perché la chiama una «antimafia dirigente»?
«Perché l’attuale tema di Libera è quello della formazione della classe dirigente che non è purtroppo all’altezza delle aspettative. Ci sono territori dove ci sono esperienze importanti e territori, come qui in Sicilia, dove l’esperienza è balbettante. Diciamo che la retorica oggi è anche il comportamento fanatico di alcune persone che hanno delle responsabilità dentro Libera. Non so cosa dovrebbe fare l’associazione per cambiare, Don Ciotti una volta ha detto che si dovrebbe sostituire la parola antimafia con responsabilità, mi sembra un’ottima partenza».

A proposito di temi antimafia popolari, la trattativa Stato-mafia è un’arma di distrazione di massa?
«No, può darsi che sia frutto di una distrazione di massa. La trattativa è una cosa enorme che appartiene alla storia italiana e che non si può ridurre a mero fatto giudiziario. E siccome questo lo si avverte, peraltro il processo si sta sgonfiando, allora abbiamo costruito la parodia della trattativa. Una meta-narrazione con libri, film, spettacoli teatrali, praticamente manca solo il videogioco. Penso che bisognerebbe fare parlare gli storici e i giuristi, dobbiamo ascoltare ciò che dicono. Penso al professore universitario di Palermo Salvatore Lupo che, ogni volta che dice quello che pensa a riguardo, viene subito attaccato. Per questo credo che oggi abbia vinto Matteo».

Valentina Conticello

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